TOO LEFT 2 BE RIGHT  "Candies"
   (2023 )

Magari non sarà proprio quella novelty che critici e personaggi austeri attendono come fosse Godot, ma è innegabile che “Candies”, pubblicato per (R)esisto, secondo album per il quartetto romano Too Left 2 Be Right a sette anni dal debutto di “SOS Mall”, abbia estro, fantasia e un tiro invidiabile. Spavaldo e furbo, mette in fila dieci tracce velenose ed incisive che mischiano tutto il possibile in una ricetta dai mille ingredienti; animato da un groove pulsante che lo conserva mosso quanto basta a non spegnere mai l’interesse, offre una produzione sontuosa, una vocazione internazionale, un piglio a dir poco brioso ed una serie ininterrotta di trovate allettanti, pungenti, stuzzicanti.

In quarantotto minuti battenti e sostenuti che oscillano tra Sublime, Sugar Ray ed Incubus, l’album non flette mai, viaggiando spedito lungo il fil rouge di un crossover globale ricco di spunti e discretamente imprevedibile. Robusto ed efficace, cangiante in modo sottilmente infido, propone dieci brani corposi, arrangiati con gusto, capaci di destreggiarsi con apprezzabile scioltezza tra hard rock d’antan, inserti rap, spruzzate di elettronica ed incursioni in un pop sbilenco, a volte sporcato di punk edulcorato (“Candies”), altrove più malleabile e diretto (“Maybe we both”).

Con nonchalance e faccia tosta, i quattro spaziano dagli accenti prog condensati nei sei minuti di “Sideway down” all’inciso cattivello – stemperato da un chorus inatteso - di “Superhero of the day”, dagli avvolgenti drappeggi glam di “Dig up the roots” all’incedere incombente e sibillino di “Half a glass of wine” (sorta di blues rivisitato che lambisce nella strofa addirittura i Police di “Murder by numbers”), dalle capriole di “Tio Biab” fino alla chiusura di “Harm a hair”, col suo mood psych vagamente retrò.

Quasi fossero un marchio di fabbrica, le variazioni sono continue, ricercate con insistenza, sparse ad arte all’interno dei singoli brani in maniera talora impercettibile, come se il pezzo andasse pian piano alla deriva, approdando lontano dall’idea di partenza, dopo innumerevoli contorsioni.

Ma forse è soltanto suggestione: tra coretti, elettricità dispettosa, ritornelli memorabili e dinamiche sempre accentuate, il rischio di perdersi è alto in questo milieu inebriante, straniante, perfino ubriacante a tratti.

Canzoni in movimento: la sfida è riuscire ad afferrarle, ma ne vale la pena. (Manuel Maverna)