FATOUMATA DIAWARA  "London ko"
   (2023 )

L'artista maliana Fatoumata Diawara torna con un nuovo album, “London Ko”, che richiama l'attenzione sul suo stile personale, che fonde tradizione afrobeat dal Mali con il pop e l'elettronica. Il titolo dell'album non è da intendersi letteralmente come un knock-out di Londra, ma come l'avvicinamento tra Londra, e la capitale del Mali, Bamako.

Importante è anche la presenza di Damon Albarn (Blur, Gorillaz) come co-produttore di alcuni brani, e compare anche con la propria voce, come in “Nsera”. Le canzoni sono costruite con fitti riff di chitarra, come “Somaw”, che assieme al basso creano groove, dove canta Angie Stone, pioniera del neo soul. “Seguen” è ancora più marcata, nell'aspetto ritmico, da incisi di synth.

Diawara riesce a coniare le melodie in lingua Bambara, con le istanze del pop più orecchiabile: brani come “Massa Den”, “Dambe” e “Dakan” sono estremamente catchy. “Mogokan” anche, ed ospita il rapper M.anifest. Invece in “Blues”, sopra un riff ossessivo di quattro note, si creano poliritmie, sapendo affondare anche nel jazz. Il sentore blues arriva più esplicito in “Netara”.

L'album è ricco di sorprese: “Sete” e “Moussoya” sono più delicati, ed ospitano il Brooklyn Youth Chorus, coro americano di voci bianche, di cui i bambini provengono da ogni parte del mondo. Invece “Yada” è un ritmo dritto col basso in levare, che ricorda certo electro pop, dove la chitarra elettrica gioca col wah wah. L'album è chiuso da “Maya”, sorretta da un calmo pianoforte (che tra gli altri, inserisce gli eleganti accordi di undicesima).

Questa è una testimonianza di afrofuturismo. Copiando le parole del comunicato stampa (non c'è bisogno di inventarne altre), Fatoumata Diawara invita gli (innumerevoli) popoli africani a prendere in mano il proprio destino, dialogando alla pari col resto del mondo. È un modo per superare il vittimismo e anche il concetto stesso di decolonizzazione, che personalmente mi ricorda la filosofia dell'afropolitismo, promossa dal professore camerunense Achille Mbembe.

Sto andando fuori tema (forse?) rispetto al disco, ma credo ci sia poco da aggiungere a quanto scritto sopra. Invece, ci sarebbe tantissimo da aggiungere per i lettori caucasici, per scoprire nuove attitudini e modalità di pensiero, che potrebbero fare ulteriore luce sull'interpretazione dell'album stesso, contestualizzando questa musica in un ambito culturale più fresco, rispetto agli schemi passati. (Gilberto Ongaro)