BARRACCA REPUBLIC  "Terra seura"
   (2023 )

Come sempre, il reggae unisce più terre fra loro lontane, per proiettarle in un'utopica realtà, dove siamo un unico popolo in pace, che condivide gli stessi valori di fratellanza. I Barracca Republic uniscono il ritmo giamaicano con parole in cilentano e italiano, nell'album “Terra seura”.

L'impianto strumentale è quello classico del genere: chitarra e tastiere in levare, basso gommoso ballerino, ricchezza di percussioni, e temi suonati dalla sezione fiati. Nei testi non manca l'attenzione ai problemi sociali, e “Canterò”, il brano introduttivo e di conclusione dell'album, diviso in due parti, inizia con un recitato che è una dichiarazione di intenti contro le barriere e l'intolleranza: “Costruiamo muri a rulli di tamburi, eserciti futuri schierati sicuri a musi duri; (...) Come il muro da Berlino a Detroit, per me l'unico muro in testa è quello dei Pink Floyd”. Cioè quello da buttare giù.

“Vruscia rareca”, che vuol dire “Brucia radice”, è uno sguardo ad una società fatta di competizione senza scrupoli, e invoca in risposta la propria anima, come difesa, nel “regno del rapace, capace di afferrare il suo prossimo”. “Vento”, prima di procedere col ritmo, inizia con un coro popolare di donne, e poi ribadisce d'essere “musica bona”.

Emerge il bisogno della giustizia, di sentirsene parte attiva, un sentimento cristiano contro i crimini politici cantati più avanti in “Politic crime”: “Politic crime under the ground (…) Cerco il dialogo costante, amico qual è il tuo problema? Dai parliamo apertamente (…) Giochi di prestigio, Babilonia è il male, io non c'entro niente (…) Sporco denaro, capace di accecare, di confondere la vita di un povero cane ignaro (…) cacciatemi dal gioco, insegnatemi a volare”. Babilonia compare nuovamente anche in “Seculi ammucciati”, come il grande leviatano da sconfiggere “che ci ha pigliato pe' fissi da quanno semo nati”.

Ci sono anche spunti poetici, come nella “Preghiera dal sud”, con una curiosa proporzione: “Il sole sta alla luna come il miele al latte”, ma non si cade mai nella retorica della tierra du sole e mmare. Gli elementi naturali sono sempre volti all'invocare una rivolta, guidata da un moto spirituale: “Sienti stu friddo ri stanotte, m'acchiananu sapori ri na vota, viaggiando verso una vetta più alta di un monte che non conosco. E salirò fino a toccare il sole, luce antica, mystical vibration, e si alzerà, si desterà questo tumulto interiore dei popoli”.

E per chi si ostina a mantenere lo status quo, nonostante le evidenti ingiustizie, c'è il messaggio di resistenza di “Danza”: “Cu sti versi, noi vulimmo dedecà sta canzune a chi si crire ri esse u chiù putende. Non ce stao capenno niende, mi sendo malamende, guardanno stupituto sta vrangata ri fitiendi”. La danza come rituale di purificazione, per buttar via il male che c'è stato: “Ricomincia la vita, quel dono più grande, fuoco denso, illogica consapevolezza dentro l'anima, nel silenzio forse qualcosa si muoverà”. (Gilberto Ongaro)