SHAMIR  "Homo anxietatem"
   (2023 )

Prolifico almeno tanto quanto Ty Segall o John Dwyer, il ventottenne Shamir Bailey da Philadelphia ha sempre amato contaminare con la padronanza e la consapevolezza di un veterano.

Progressivamente distaccatosi dalle asperità hard-rock che caratterizzavano i primi lavori, almeno fino a “Be Thee Yee, Here Comes The Haw”, così come dalle mille variazioni (IDM, gospel, electro) che ne caratterizzavano le imprevedibili contorsioni, e con il solo denominatore comune di una vocalità inconfondibile e di un gusto innato per melodie ampie e consistenti, Shamir pubblica per la storica label Kill Rock Stars le undici tracce inedite di “Homo Anxietatem”, nono album in otto anni di brillante carriera.

Per assurdo, proprio il debutto sull’etichetta di Portland – il cui taglio ha spesso privilegiato artisti orientati a sonorità punk-rock ed affini - coincide con un evidente intenerimento della proposta: quello di Shamir è oggi un pop sui generis, scintillante in apparenza, in realtà sempre velato da una tenue melanconia di fondo e da testi introspettivi, vagamente pessimisti, dai quali traspare una sottile amarezza figlia di tempi incerti e di una insicurezza che viene dal profondo, specchio di un piccolo mondo visto dal basso, con prospettive traballanti offerte da punti di vista altrettanto precari.

Sempre più che gradevole, l’album veleggia sciolto tra solidi brani in canonici quattro quarti su mid-tempo accattivanti (“Our song”, “Without you”), concedendosi a parentesi baggy (“Wandering through”, con pregevole bassline ad un passo dal dub) o a perfette canzoni pop a tinte folkish, intrise talora di una palpabile tristesse (“Oversized sweater”, “The beginning”). Gli ingredienti sono molteplici, dal battito accelerato di una irresistibile “Obsession”, memore dello spirito degli albori, al rallentamento intimo e raccolto di “Calloused”, dal registro dolente di “Words” fino allo scarno blues ancestrale con bottleneck da brivido di “The Devil Said the Blues is All I’ll Know”, chiusura sospesa su un esile filo tra luce ed ombra.

Il sound meticcio e cosmopolita, una produzione calibrata, arrangiamenti calati nella contemporaneità e brani diretti, incisivi ed allettanti, sono gli atout che rendono “Homo Anxietatem” un album adatto ai tempi, ennesima espressione di un artista in costante divenire, capace ogni volta di sorprendere con nuovi trucchi di scena e boutade ad effetto. (Manuel Maverna)