AMIIRA  "Curious objects"
   (2023 )

Il trio degli Amiira è composto dal sassofonista e clarinettista tedesco Klaus Gesing, dal bassista svedese Björn Meyer, e dal batterista svizzero Samuel Rohrer. Tutti nomi noti nel jazz d'avanguardia. Tornano dopo 6 anni dal lavoro precedente, con “Curious objects”, uscito per Arjunamusic Records (acoustic series).

Questi “oggetti curiosi” che sono i brani reificati, sono delicati da maneggiare. Per ascoltarli come si deve, bisogna fare silenzio assoluto e restare concentrati. Non c'è modo di ascoltarli facendo altro: si mettano le cuffie e si contempli, altrimenti non si riesce ad apprezzare. Il volume è sempre tenue; l'intenzione del trio è portare l'ascolto musicale ad un approccio spirituale, in opposizione agli strombazzamenti del free jazz. I delicati colpi alla batteria, quasi mai portatori di una ritmica fissa (tranne in eccezioni che poi vedremo), sono le virgole, i punti e i puntini di sospensione, insomma la punteggiatura dei dialoghi tra basso e clarinetto, e tra basso e sax soprano.

Questo è evidente, ad esempio, in “On second thought”. Come suggerisce il titolo, l'esecuzione è molto cerebrale. Eppure, se si sta dietro al trio con attenzione, ci accorgiamo che l'esito è altamente emotivo, non cervellotico da afferrare. Per citare “Ways of paradox”, dove il batterista alterna la batteria acustica a pad elettronici (se non sbaglio riconosco la 808), il paradosso è che, sebbene si tratti di improvvisazioni, nulla sembra avvenire per caso. L'interazione tra i tre è tale, da divenire trascendente. Un po' di riverbero aiuta ad accompagnarci nell'estetica, nella sfera mentale-emozionale dove gli Amiira ci vogliono introdurre.

Dicevamo, dal punto di vista ritmico, i brani sembrano amorfi, perché non c'è un'intelaiatura fissa. Se c'è un riferimento circolare, sono le pulsazioni di basso, la sua dinamica che si alterna tra forte e piano come un'onda, in “Now that we finally met”. Ma col settimo brano in scaletta, “Concentric”, le cose cambiano. Questa... composizione? Il confine è labile, tra composizione ed improvvisazione.

“Concentric” si basa su un rapido loop in 7/8, di note inizialmente suonate dal clarinetto basso, e il basso elettrico ci improvvisa sopra. Il suono in loop viene elaborato elettronicamente, con vari effetti (cut off, resonance...), come succede, per capirci, col suono principale di “On the run” dei Pink Floyd. In un modo elegante, il loop viene poi passato al basso elettrico, permettendo a Gesing di imboccare il sax soprano e improvvisare. Il passaggio di staffetta non è immediato, è davvero morbido: se ci si distrae un attimo, non ci si fa caso. In questo caso, ma ancor di più in “Gravity Inn”, Rohrer fa “il batterista” come ce lo aspettiamo: rigoroso, che “tiene il tempo”.

“Gravity Inn” è marziale, col suo incedere regolare sul timpano. Gesing accende l'harmonizer sul sax: quando suona una nota ne escono tre; e per aggiungere marzialità, procede spesso per salti di quarta. Meyer marca i battiti col basso, creando un oscuro tappeto sul quale emerge il curioso oggetto, creato dal sassofono moltiplicato. “Nostalgia” invece ci riporta alle atmosfere iniziali del disco, quelle sospese, e nel finale “Where we go from here”, il basso di Meyer è particolarmente espressivo, nei suoi arpeggi, affiancati da note solenni, soffiate da Gesing, mentre Rohrer alterna il tocco sui piatti naturali, ad effetti elettronici di reverse.

Questo disco non è di facile accesso. Ma una volta trovata la porta che si apre, sentirete formarsi nuove connessioni neurali, e vi troverete in una stanza di quattro dimensioni. (Gilberto Ongaro)