MAIIJA  "I am"
   (2023 )

Per chi fosse alla ricerca di quaranta minuti di requie dal logorio della vita moderna, questo disco potrebbe rappresentare una ghiotta occasione, un antidoto allo stress in comoda confezione digipack, privo di controindicazioni, da assumersi in qualsiasi momento della giornata. Io lo preferisco al crepuscolo o a sera inoltrata, ma anche col contorno di cieli neri e pioggia copiosa fa il suo bell’effetto, ca va sans dire.

Marilies Jagsch è un’artista austriaca, al debutto per Noise Appeal Records con le undici tracce di “I am”, una piccola delizia in punta di strumenti; afflitto ed intimo per larghi tratti, si avvale di toccanti melodie in minore condotte per mano da un pugno di musicisti e da un canto profondo, intimo, perfino confidenziale, mai fuori misura, talvolta prossimo al sussurro, altrove più insinuante e sottilmente languido, spesso non privo di una congenita sensualità (“I am a volcano”).

Con il supporto di Lukas Lauermann (violoncello), Emily Stewart (violino, viola), Peter Paul Aufreiter (synth, chitarra) e Gernot Scheithauer (batteria), Marilies ammannisce una sorta di musica da camera placida e melanconica, proposta sì in un tenue registro compassato, ma non per questo meno rigonfia di pathos; il mood generale, ben sottolineato dal contrappunto degli archi, conserva intatta una dimessa introversione che di rado alza i giri (“I am a witness”), prediligendo una pacatezza – almeno formale – perfettamente funzionale alla trama ordita. A prevalere è una ben controllata desolazione, scossa da sporadici guizzi, convogliata in cadenze rallentate e partiture armoniose, talvolta vagamente incupite (“I am a nightmare”), spesso forti di singalong efficaci (“I am consumed”, Warpaint e Clara Engel a braccetto), altrove più inclini al melodrammatico (il passo laid-back à la Norah Jones di “I am love”).

Tra echi sparsi di Marissa Nadler e Isobel Campbell, Angel Olsen e Phoebe Bridgers, Liz Green ed Emilie Zoé, l’album procede morbido e misurato, elegante e raffinato, uno scavo intimo nei meandri del sé, forte di testi introspettivi che raccontano di paure, fragilità, cadute e ripartenze, storie di tutti i giorni, così personali, così universali. (Manuel Maverna)