MARCO ROVELLI & PAOLO MONTI  "Concerto d'amore"
   (2023 )

Una possibile definizione etimologica dell’amore è “a-mors”, cioè “senza morte”… Anche se non fosse esatta, sarebbe comunque molto suggestiva, perché l’amore, in tutte le sue forme, proprio questo fa: dona la vita e la rende eterna, allontanando la morte fisica e spirituale, a livello individuale e sociale.

Il professor Marco Rovelli – autore di diversi libri critici riguardanti i CPT, il lavoro clandestino, le morti sul lavoro, le storie partigiane, nonché di canzoni contro la violenza sociale e rivisitazioni di antichi canti popolari e “anarchici” – sembra dedicare la sua intera carriera da scrittore e musicista all’amore inteso come opposizione alla morte.

Pochi mesi dopo aver ideato e diretto l’album collettivo “Nella notte ci guidano le stelle. Canti per la Resistenza”, vincitore della targa Tenco per il miglior album a progetto, Marco Rovelli, con il supporto delle atmosfere sonore elettroniche create da Paolo Monti, incide “Concerto d’amore”: una raccolta di canti popolari di diverse regioni dell’Italia. Sono canti che raccontano con purezza e semplicità l’amore fra donna e uomo nella sua accezione tradizionale, la forma più concreta di lotta contro la morte della specie umana.

Proprio per via del ruolo fondamentale che l’amore ha da sempre svolto nella storia, questi canti sorgono dall’anima del popolo e dal profondo vengono direttamente “fuori”, senza subire elaborazioni di tipo razionale. Sono quindi delle musiche autentiche e Marco Rovelli e Paolo Monti, così come tutti gli altri musicisti invitati a realizzare insieme a loro il “Concerto d’amore”, curano con molta delicatezza questa unica autenticità… quasi come degli archeologi che trovano e manipolano fragili e preziosi oggetti provenienti dalle profondità del mondo.

In questo senso è essenziale precisare che, pur essendo moderni ed elettronici, gli strumenti usati da Paolo Monti non alterano il carattere antico dei canti e la loro origine lontana (“da un altrove”, come scrive Marco Rovelli nella presentazione del disco). Anzi, la sensazione di profondità viene amplificata dalla frequenza dei suoni appartenenti al registro basso che questi strumenti emettono in diversi momenti d’intermezzo, quando le voci dei cantanti si riposano.

Ciò che i 14 canti presenti sul disco sembrano avere in comune è l’amore visto e vissuto come possibilità, come idealità, se non addirittura come utopia. Fra desiderio e compimento, fra ideale e raggiungimento, c’è sempre una certa distanza, un ostacolo. E probabilmente il potere costruttivo dell’amore e la sua forza propulsiva nel combattere la morte si fondano proprio sull’attesa e sul continuo sperare.

Due dei canti mettono insieme l’amore per le persone care e l’amore per gli ideali collettivi… si tratta di ''Già allo sguardo'' (ovvero Il ritorno dell’esiliato) e di ''Amore ribelle''. Il primo è un canto toscano creato dall’anarchico livornese Carlo Vita, che evoca, appunto, il ritorno via mare di un esule politico alla sua amata famiglia. Il sassofono in lento pianissimo di Nicola Alesini viene a ricordare le distese di mare che ancora separano lo sguardo dell’esiliato dalla propria casa e dai cari, mentre la base elettronica di Paolo Monti ha forse il ruolo di farci sentire le onde.

''Amore ribelle'', composto nel 1895 dal giornalista anarchico Pietro Gori, si può dire che è un inno dedicato all’amore come forma di lotta “al codardo e all’oppressor”, con la forte speranza che, “nel dì che vinceremo”, il compimento dell’amore di coppia sarà finalmente possibile. Marco Rovelli insieme alla voce entusiasta di Mara Redeghieri cantano questo inno molto adatto a essere intonato da un gruppo numeroso di persone. Una particolare versione di ''Amore ribelle'' è nota tra gli abitanti della località Forno (Massa) come canto partigiano antifascista, ed è per questo motivo che Marco Rovelli l’ha inserita anche nell’album precedente, “Nella notte ci guidano le stelle”, dove viene interpretata da Serena Altavilla con l’accompagnamento strumentale realizzato da Paolo Monti.

Altri due canti si riferiscono all’allontanamento da casa per via del lavoro e alla sempre precaria speranza nel ritorno. Uno è ''Maremma'', canto toscano creato nel periodo in cui molti lavoratori venivano coinvolti nella bonifica delle terre paludose maremmane. Qui si nota come, nella parte conclusiva, la voce di Marco Rovelli raggiunge un registro particolarmente alto, da tenore, come per amplificare la sensazione di dolorosa mancanza e di sconvolgente dubbio sul ritorno della persona amata. E i suoni prolungati prodotti dall’archetto di Lara Vecoli sul violoncello ricordano in qualche modo il pedale caratteristico di alcuni canti corali popolari e religiosi.

L’altro è ''Ritorno dalla transumanza'', canto molisano di una rara bellezza, che racconta la vita dei pastori costretti a spostarsi durante l’inverno con le pecore nelle terre più soleggiate della Puglia. La voce pacata e narrativa di Marco Rovelli si alterna qui a quella celestiale di Serena Altavilla, mentre la base strumentale avvolgente creata da Paolo Monti viene discretamente assecondata dalle chitarre di Rocco Marchi.

Ciò che probabilmente rende così speciale questo canto è l’inserimento improvviso della misura 1/4 nella ripetizione delle prime parole di ogni strofa (anche se la misura base è 3/4) e, sempre nella stessa ripetizione, la salita progressiva sulla scala musicale, quasi come salire sulle montagne molisane. Ma la bellezza di una canzone, come quella dell’amore, non sempre può essere spiegata in termini razionali…

Due canti pugliesi ricordano la trama della nota fiaba “La bella addormentata nel bosco” e, come suggerisce Rovelli nella presentazione del disco, forse anche il testo della “Serenata toscana” di Gabriel Fauré: all’amata viene cantato di svegliarsi all’amore (“Éveille-toi, regarde le chanteur…”).

In ''Bella ci dormi'', significative sono le ripetizioni di alcune parole che esprimono il desiderio di raggiungere l’amata che dorme in casa, per contrastare la sensazione di morire: “e ieu qua fore”; “fino a morire”; “Alzate bella e famme trasire” (“trasire”=”entrare”). La melodia è quasi un valzer a tutto tondo e forse per questo motivo per cantare insieme a Rovelli è stata scelta proprio la voce classica di Paola Rovai.

Diversamente, ''Bedda ci stai luntanu'', canto passionale che ricorda la rumba latino-americana, viene eseguito insieme alla voce un po’ graffiante di Angela Baraldi che ben si abbina alle sonorità rock delle chitarre di Lee Ranaldo dei Sonic Youth, mentre il violoncello di Lara Vecoli conferisce spessore al tutto. Attraverso le parole di ''Bedda ci stai luntanu'', l’autore cerca di trasmettere all’amata i suoi stati d’animo, attribuendoli agli elementi della natura (quasi come se la natura fosse l’unica soluzione per comunicare empaticamente con lei): “Ci senti friddu suntu li mei suspiri, ci senti cautu ete stu core ardente, ci onde iti a mare nu lle timire, suntu te lacrime fiumi currenti, e cci pe l’aria senti uci e lamenti, su jeu ca te te chiamu e nnu me senti”. Chi nella vita si è davvero innamorato troverà di certo rispecchiamento in queste bellissime frasi.

La passione, la dolorosa lontananza dall’amata e la rabbia contro le forze maligne che impediscono il congiungimento vengono espresse anche nel canto napoletano ''La nova gelosia'', reso noto da Fabrizio De André e qui interpretato da Marco Rovelli insieme alla voce piena e matura di Fausta Vetere, nonché in due canti siciliani, ''Pri tia diliru e spasimu'' (canto “assai poco noto”, come lo definisce Rovelli, ma non per questo meno prezioso) e ''Cu ti lu dissi''. Nel canto ''Cu ti lu dissi'', storicamente reso immortale da Rosa Balistreri, con Rovelli collabora il cantautore catanese Cesare Basile e i due insieme riescono a creare un’atmosfera arcaica, ricordandoci i vecchi corteggiatori ottocenteschi.

L’amore platonico, pieno di rispetto per la persona amata, viene descritto in due canti toscani (''Rispetti'' e ''Cade l’uliva''), ma anche in ''Sei bella negli occhi'', la cui origine rimane per ora sconosciuta. Per il canto intitolato ''Rispetti'', interpretato insieme a Serena Altavilla e al chitarrista Bruno Dorella, Marco Rovelli attinge dal libro “Canti popolari toscani, raccolti e annotati da Giuseppe Tigri”, edito a Firenze a metà Ottocento. In realtà, “rispetti” è un termine generico per denominare un’intera categoria di canti popolari: come spiegato da Giosuè Carducci, furono così chiamati “a cagione della riverenza o venerazione che i cantori dimostravano verso l’oggetto dell’amor loro”.

Nel testo di questo canto si nota come l’autore dà del “voi” alla sua amata e, almeno nei primi versi, l’amore appare come eterno e indipendente dagli accadimenti esterni: “Ti voglio amar se la terra tremasse,/ Ti voglio amar se il ciel venisse a terra”. A chi conosce un po’ di rock anni ‘70 non può non venire in mente il brano “Thank you” dei Led Zeppelin, nel quale Robert Plant dice: “If the sun refused to shine,/ I would still be loving you,/ When mountains crumble to the sea,/ There will still be you and me…”. L’amore è quindi lo stesso, a prescindere dal luogo, dal periodo della storia, dai generi musicali o letterari.

Canto tradizionale del Seicento, riproposto negli anni ‘90 da Caterina Bueno, ''Cade l’uliva'' viene qui interpretato insieme a Mara Redeghieri e Lee Ranaldo. Ciò che più colpisce nel testo di questo canto è l’ammirazione per il modo di parlare, per l’intelletto della persona amata, quindi non per gli aspetti carnali a cui ci hanno abituati tanti brani moderni: “L’acqua che corre fermar non si puole/ voi la fate fermar colle parole”.

''Sei bella negli occhi'' è un canto d’amore per l’anima dell’altra persona (“Sei bella negli occhi, sei bella nel cuore”), ma è anche un canto di allontanamento e di speranza in un possibile ritorno… probabilmente l’autore si prepara per andare in una guerra, nella quale potrebbe perdere la vita (“Che s’io non ritorno, son morto per te”). Il sassofono di Nicola Alesini e il violoncello di Lara Vecoli riportano all’ascoltatore la sensazione di abbandono provata dall’autore di questo canto e dalla sua amata.

Un canto d’amore è anche la ninna nanna sarda intitolata ''Dromi fiore meu'', incisa nei primi anni ‘70 da Maria Teresa Cau nell’album “Folklore di Sardegna”, “che come tale” – scrive Marco Rovelli – “può essere cantata a un figlio, ma l’abbiamo immaginata come un canto d’amore per l’amata, o per l’amato, un canto di dolcezza al proprio fiore, che possa sognare solo bellezza”. Questo cambio di destinatario, senza necessità di modifiche, è stato possibile perché l’amore genitoriale e l’amore di coppia sono in realtà la stessa cosa e appartengono allo stesso grande disegno naturale.

Il canto ''Quante stelle in cielo con la luna'' che – precisa Rovelli – “sembra essere una zona intermedia tra canto tradizionale e d’autore”, è stato composto negli anni ‘90 dalla cantautrice umbra Lucilla Galeazzi e qui viene eseguito da Marco Rovelli insieme a Erica Boschiero, accompagnati da Paolo Monti e Rocco Marchi. Come Rovelli lo definisce, “è non solo un canto d’amore, ma un canto sull’amore”… cerca quindi di spiegare l’essenza dell’amore, “una cosa leggera”, che “come un vento di primavera sfiorava la mia mano, poi di nuovo lontano era”. Nelle parole di questo canto è evidente che l’amore, per poter esistere, ha bisogno di una distanza, di una mancanza… La sua presenza è possibile proprio grazie alla sua assenza. (Magda Vasilescu)