ROCKETS  "Time machine"
   (2023 )

Vabbè, basta solo una cosa. La sigla "Rockets" che fa cover di "Piccola Katy" dei Pooh. Ecco, potremmo finirla qua. Però non sarebbe corretto verso chi legge e, forse, verso chi questo album ha messo in circolazione.

Chiaro, dimenticate le tute spaziali e - se siete meno oppressi dall'anagrafe - i ciglioni di Elio a Sanremo nel 1996, e magari limitiamoci ad immaginare quello che ora sono, i francesi Rockets, ovvero un gruppo legato al fondatore Fabrice Quagliotti, e che continua a produrre musica che è un mix tra chitarre rock anni '70 e sintetizzatori, quelli invece senza tempo.

E, con questa formula, andare a rimescolare brani di varia umanità, portando James Brown ("Sex machine") dalla Georgia alla Luna, dando nuova linfa - non tanta, invero, ma ce ne era poi bisogno? - a "Riders on the storm", per cui potrebbero andare a Père Lachaise a vedere se Jim si stia rivoltando nella tomba, e stessa cosa per "Walk on the wild side".

Meglio, se vogliamo, quando vengono a bussare all'Italia, recuperando appunto i Pooh e, soprattutto, chiamando Alberto Camerini a ricantare in inglese (lo aveva già fatto un po' di tempo fa in un album di Boosta) "Rock'n'roll robot". Ecco, queste le cose migliori, ovvero quando si cerca di mettere nuova energia in cose antiche. Altrimenti, il progetto funziona a metà.

Ad ogni modo provatelo: se riuscirete a superare "Jammin'", dove Bob Marley si incontra con gli ex marziani, allora tutto vi sarà possibile. Però, si apprezzi il coraggio di essere andati a ricostruire brani rock ("Rebel yell", by Idol Billy) e non cose più vicine alle loro origini. Provare, poi decidete se credere o no. (Enrico Faggiano)