MATANA ROBERTS  "Coin coin chapter five: In the garden..."
   (2023 )

Quinto capitolo di una lunga saga sulla musica afroamericana, “Coin Coin Chapter Five: In the garden...” è la nuova uscita per Constellation Records di Matana Roberts. La sua avanguardia porta il free jazz a una dimensione mistica, che fa ricordare la visione di Sun Ra e del suo afrofuturismo. Roberts esplora le radici della black music, e gli esiti della sua ricerca sono uno sfaccettato percorso, che però non ha (per fortuna) il sapore di una tesi didattica. C'è sì, è palese, l'intenzione educatrice e formativa, ma non c'è mai la sensazione di assistere ad una lezione di musica... anche se di fatto lo è.

Nonostante la “confusione” che si può percepire, nel passare da un brano all'altro (molti dei quali sono assai brevi, poco più di un minuto), si può ravvisare una precisa struttura semantica: si crea una sorta di strada con delle tappe ricorrenti, che diventano riconoscibili, procedendo con l'ascolto. Le tappe ricorrenti sono dei brani-capitoli, dove la musica ospita uno spoken word che sviluppa un drammatico racconto, incentrato sulla decisione di un aborto. Nel 1925. Che è un po' come il 2023, negli Stati Uniti, viste le nuove decisioni politiche...

In “A(way) is not an option”, viene raccontata la vita dei figli di 13 e 14 anni, uno già depresso e l'altro già alcolista, e questo fa capire la condizione socioeconomica, in cui potrebbe nascere una terza vita. Se non ho frainteso, la donna decide di lanciarsi sulle scale, per simulare un incidente. La famiglia la rinnegherà. Ad ogni capitolo di questo tragico racconto, i testi finiscono con gli stessi versi: “Well, they didn't know I was electric, alive, spirited, fired and free / My spirit overshadowing, my dreams too bombastic / My eyes too sparkling, my laughter too true”. Le mie risate troppo vere. In effetti, Matana Roberts tende a fare un certo sorriso sarcastico, nell'enunciare le frasi.

Le altre tracce variano: alcune sono esempi di free, quello caotico alla Coleman, come “Predestined confessions” e “Others each”, ma poi senza preavviso, ci troviamo immersi in suoni inaspettati, come quelli di flauti acuti (piccoli?), come nell'iniziale “We said” e nella conclusiva “...ain't I. ...your mystery is our history”, o il tappeto di mbira (kalimba) che permea la sopracitata “A(way) is not an option”, mentre ci si sposta su coordinate blues in “Shake my bones”. Altri brani contraddicono l'agitazione, con note prolungate di violino e clarinetto basso, come in “No way chastened”, che crea una sorta di sospensione febbrile, e momenti ipnotici come “A caged dance”. C'è pure una parentesi elettronica, sotto al brano-capitolo “Enthralled not by her curious blend”.

C'è pure un momento spiritual a metà album, con due brani cantati a coro: “But I never heard a sound so long” e soprattutto l'emozionante “The promise”, dove le voci cantano all'unisono, in polifonia, e a canone. Quindi: spiritual, blues, strumenti folklorici, free, e spoken word in un solo album, che è il quinto capitolo di una saga. Quanta ricchezza! (Gilberto Ongaro)