CALEB NICHOLS  "Let's look back"
   (2023 )

Diretto e semplice, ma terribilmente efficace nella sua provvida essenzialità, “Let’s look back” vede il ritorno sulla prestigiosa label Kill Rock Stars del californiano Caleb Nichols, a poco più di un anno da quel prodigio di creatività che fu “Ramon”, coraggioso progetto a cavallo tra scrittura fantasy e devoto omaggio ai Beatles.

Undici tracce per trentacinque minuti di Americana fatta bene, con un’eco fortissima dell’indimenticato Tom Petty a sorreggerne le spina dorsale (“Christmas, California”), segnano il perimetro di un album più lineare rispetto al debutto, sebbene rifinito con cura e forte di singalong a tratti irresistibili. Brani secchi ed incisivi, privi di arzigogoli o complessità di sorta, funzionano perfettamente, sospinti da quei bei quattro quarti con cassa dritta e chitarre avvolgenti, come nella migliore tradizione a stelle e strisce.

Mirabile il poker iniziale, baciato da un estro inesauribile e contagioso, abbrivio fulminante di un disco che azzecca tutto, dall’inizio alla fine: ganci, ritornelloni, armonie (“Absolute boy”, con chitarra à la Johnny Marr), girando al meglio proprio nelle tracce più mosse (la botta elettrica di “Albatross”), ciascuna delle quali è una potenziale hit radiofonica, di quelle che canti volentieri durante i viaggi in macchina.

Ma il ragazzo sa anche – al bisogno - placare la veemenza, cesellando alcune pregevoli ballate (“The wires”, quasi i Wilco), o pennellando morbidezze varie (la tentazione vagamente soul della conclusiva “Wicked”), sempre nella meglio tradizione d’oltreoceano, centrando un mix efficace di ritmo e melodia, conditi da quel pizzico di sottile melanconia che non guasta mai e che te li fa amare, assaporare, riascoltare fino a sentirli tuoi.

Album delizioso, accattivante e soave, adatto a tutte le stagioni, vitale e rilassante, una cornucopia di idee brillanti fornite su un piatto d’argento ad un pubblico ampio, ben disposto a lasciarsi coccolare. (Manuel Maverna)