DIRTY TALONS  "Dirty Talons"
   (2023 )

Il piacevolissimo salto temporale che fanno i viennesi Dirty Talons in questo loro debutto, è tra gli elementi che determinano il muro sonoro letteralmente devastante che riescono a generare.

Sono ben tre le chitarre responsabili di questi suoni, una formazione che a tratti riesce a ricreare magistralmente magie melodiche come solo i Boston sapevano fare. Non esagero se affermo che questi ragazzi austriaci sono unici nel riuscire in questa piccola impresa, perché non è cosa semplice neanche per un genio come Tom Scholz ricreare oggi quel suono magnifico, che ha caratterizzato i primi tre album della sua mitica band.

Inoltre, le incursioni di questi argonauti del suono duro, vanno a toccare anche altri angoli oscuri della NWOBHM, con riff granitici cari ai Judas Priest dei bei tempi, addirittura anche sprazzi di thrash metal. Tutto ciò ha colpito al cuore un vecchio rocker come me, pronto a godere di questi suoni anche quando solo ne sente un lontano accenno.

Con il loro mastodontico impatto sonoro, i Dirty Talons sanno essere anche agili, proponendo brani divertenti e dinamici come solo i Van Halen sapevano essere. Tuttavia non dobbiamo assolutamente immaginare una band fuori tempo. I Dirty Talons non si presentano con pantacollant e capelli cotonati, non indossano il chiodo e bracciali borchiati.

Per fortuna il rock duro è oggi ancora possibile suonarlo con credibilità. Spesso sono sufficienti naturalezza e semplicità, senza ridicole forzature e senza ricorrere ad immagini banali e stereotipate o curate da brand d’alta moda. Da questo punto di vista gli australiani King Wizard And The Lizard Wizard hanno insegnato.

Vien da pensare che a tal proposito è forse il passato punk ad orientare i Dirty Talons a certe scelte. Nel mezzo del turbinio sonico deciso e schietto che ha saputo costruire la band, emerge la voce di Jess, che se al primo ascolto può sembrare quasi fuori posto rispetto il suono generale, alla fine se ne capisce il senso. Come se Cyndi Lauper si fosse travestita e data al metal. A conferma del fatto che anche in un buon disco, l’uso della voce non è necessariamente uno stereotipo di genere. (Mauro Furlan)