MASSIMILIANO LAROCCA  "Dáimōn"
   (2023 )

I dischi di gran spessore si posson fiutare sin dalle note di copertina, che elencano la presenza di personaggi e musicisti di rilievo. Quindi, se noti che alla produzione e agli arrangiamenti c’è lo zampino di Hugo Race (in sinergia con Nicola Baronti) e una crème di musicisti come Roberto Villa, Diego Sapignoli, Don Antonio Gramentieri e via dicendo… difficile che trattasi di mela marcia.

Semmai, il nuovo album di Massimiliano Larocca “Dáimōn” è una squisita mela matura: matura nella concettualità, matura nella scrittura, matura nell’ideologia sottotraccia.

Già, perché il Nostro non è un artista dozzinale ma, bensì, un protagonista del pentagramma colto e ricercato, proponendo ogni volta un serio e culturale ritorno. I quattro anni d’attesa (dopo “Exit/Enfer”) ci son costati un po’ ma il suo riaffacciarsi sulla scena lo dobbiamo pienamente considerare come un’anticipata strenna di Natale, visto che i dieci brani contemplati sono ostriche con perline luccicanti dal significato profondo.

Senz’altro, si tratta di un disco dolente e malinconico, che però incarna lo spirito ardente di non sbandierare mai la resa. L’illusione che, dopo la pandemia, ne uscissimo migliori, crolla vistosamente nel singolo “Non saremo più gli stessi”, nel quale vige la voce ristoratrice di Federica Ottombrino (già nei Fede’nMarlen) che ci delizierà in altre stesure dell’opera.

I richiami a mostri come Tim Buckley, John Martin e Nick Drake non van presi come allusioni copiative ma, piuttosto, come emblema di un’espressione forgiata in illuminanti assimilazioni ispirative: provare per credere “L’abbandono” e “Giorni di Alcione”.

Di fondo, c’è in noi, quel demone… ops! Quel “Dáimōn” che condiziona non poco il nostro agire, che ci interroga sul perché di improvvisi cambi d’umore o pulsioni urgenti da soddisfare, ma è anche un prezioso consigliere per tenere alta la guardia nell’itinere di vita.

Max sa perfino dilatare la sua abilità trilinguistica, cimentandosi con ottimo inglese in “The love of the senses”, dal mood dolce, e nel french-refrain di “La balie”. Certamente, dirige il suo estro non in un “vicolo cieco” ma nella profonda ponderazione di “Cul-de-sac”, che gli conferisce lodevoli valenze autoriali. Lasciatevi tentare dal “Dáimōn”: vi sorprenderà! (Max Casali)