LEATHERETTE  "Small talk"
   (2023 )

Impregnato di humus d’Albione, pervaso da un afflato artsy che mai ne abbandona gli intrecci, talvolta contorti, altrove accessibili, il pop fragoroso e trasversale del quintetto bolognese Leatherette innerva le dodici tracce di “Small talk”, nuovo album su etichetta Bronson Recordings a poco più di un anno dal debutto di “Fiesta”, che già marcava il territorio e segnava il percorso.

Teso, nervoso, spinoso e indocile, procede sulle ali di una scrittura non lineare, che si balocca sì con tentazioni di verse-chorus-verse, ma ne perverte l’immediatezza grazie ad una congrua serie di trappole disseminate ad arte lungo il tragitto. Così, anche una sberla come “Spying On The Garden” prende direzioni inaspettate, celata sotto le ingannevoli sembianze di un up-tempo slabbrato: come spesso accade nel resto dell’album, l’impressione prevalente è di ascoltare un misto ipercinetico di primi Arctic Monkeys e Libertines, con spruzzate di Idles (mixa Chris Fullard, un caso non è, vedi pezzi come “The Ugliest”) ed un generale mood che tende al falsamente sbracato.

I brani sono brevi, tutti sotto i tre minuti, ed insistono nel rinunciare ad un climax, spesso ricacciato indietro: picchiano e urlano, come nella feroce opener “Bureaucracy Apocalypse” o nella conclusiva “Monday (still here)”, due facce della stessa musica subdolamente storta. Il lavoro sotteso è incisivo e non banale, sia quando i giri salgono (“Isolation”, quasi i Gang Of Four virati baggy), sia quando il ritmo rallenta e lascia le trame ad ondeggiare infide, appese a fili esili, a melodie abbozzate, all’ennesimo trucco di scena (“Fade away”).

“Ronaldinho” è (im)puro Morrissey/Marr, “Experimenting” gioca con figure free del sax, “Lips” è un’aria pigra e notturna à la Morphine, “Ronaldo” un’ipotesi radiofonica, tutti saggi di una intrigante, sorprendente capacità della band di muoversi in svariate direzioni senza regalare evidenti appigli o riferimenti certi: è l’atout vincente di queste canzoni inafferrabili che sgusciano via inconcluse, prive di un centro o di particolari sviluppi, trovando la giusta ragion d’essere in partiture sghembe e aggressive, spesso focalizzate sulle dinamiche, meno sulle armonie, in un goloso, vivido, incessante concedersi e negarsi che mai stanca e continuamente attrae. (Manuel Maverna)