SEBASTIANO LILLO  "Loving Duende"
   (2023 )

Una delle più originali e interessanti uscite discografiche dell’autunno 2023 è probabilmente l’album “Loving Duende”, realizzato da Trulletto Records (il cui fondatore è proprio il musicista pugliese Sebastiano Lillo, autore principale del disco), in collaborazione con l’etichetta statunitense Vision & Vitality Entertainment.

“Loving Duende” è un’affascinante raccolta di dieci brani con ritmi e melodie rilassanti, che abbracciano svariati stili musicali e invogliano alla contemplazione e allo stupore, alla quale creazione hanno dedicato il proprio talento (o il proprio “duende”…?) diversi artisti, con il prezioso supporto del personale tecnico.

Davide (Dado) Penta, che, oltre a suonare il basso, ha composto la musica di due dei brani presenti sul disco, e Teodoro (Teo) Carriero, un virtuoso della batteria e delle percussioni, sono i due collaboratori fissi insieme ai quali Sebastiano Lillo si esibisce anche negli spettacoli dal vivo. Mentre per l’incisione di alcuni brani, ai suoni prodotti dai musicisti del trio si sono piacevolmente intrecciati quelli di Paolo Palmieri (tastiere in “Tostadora”, “Feelin’ like Sheep”, “Agua Santa”), che ha curato anche il sound design, Marco Meledandri detto Bodah (chitarre in “Cat’s House”, “Loving Duende”, “Feelin’ like Sheep”, “Agua Santa”) e Antonio Fallacara, che brillantemente suona la tromba in “Agua Santa”.

Al centro del paesaggio musicale spicca l’arte chitarristica di Sebastiano Lillo, che a volte ricorda quella di Mark Knopfler e altre volte quella di Carlos Santana, sostenendo, senza metterle in ombra, le sonorità degli altri strumenti. Lo stesso artista esegue anche una parte di voce, che però viene usata sempre con una funzione di strumento musicale, quindi senza insistere sulla tecnica vocale o sulla pronuncia delle parole in inglese e spagnolo. Come proprio lui dichiara con onestà e umorismo in un’intervista rilasciata per la radio RKO, nella trasmissione Puglia Connection, la parte vocale nei brani di quest’album è qualcosa “così e cosà”: un gioco vivo e spontaneo, che travolge ogni regola rigida, come forse lo è anche il “duende”...

La fonte d’ispirazione per i realizzatori dell’album è stato il saggio “Teoria e gioco del duende”, in cui il poeta Federico García Lorca spiega metaforicamente il concetto spagnolo “duende” attraverso le sue caratteristiche: “radici che affondano nel limo che tutti noi conosciamo, che tutti ignoriamo, ma da dove proviene ciò che è sostanziale nell’arte”; “lo spirito della terra”; “un cambiamento radicale di ogni forma rispetto ai vecchi piani, dà sensazioni di freschezza del tutto inedite, con una qualità di rosa appena creata”; il duende non giunge “se non è sicuro di dover cullare quei rami che tutti portiamo e che non hanno, che non avranno consolazione“; è “il ponte che unisce i cinque sensi a quel centro di carne viva, di nube viva, di mare vivo, che è l’Amore liberato dal Tempo”… “Il duende non si ripete, come non si ripetono le forme del mare in burrasca”.

L’essenza del saggio di García Lorca viene ben illustrata dall’artista grafica Rossella Mercedes nell’opera d’arte presente sulla copertina del disco: l’immagine di un albero le cui radici traggono la linfa da un cuore vivo che si trova dentro la terra (tra l’altro, il poeta spagnolo riferisce di aver sentito dire da un vecchio maestro di chitarra che “il duende sale interiormente dalla pianta dei piedi”), circondata da tutte le parti da un bellissimo colore azzurro che ricorda le forme vive e sempre mutevoli delle onde del mare. Anche il disco stesso è in vinile blu trasparente.

La profondità e la vitalità del “duende”, spirito misterioso che – osserva García Lorca – “può comparire in tutte le arti, ma dove lo si trova con maggiore facilità, com’è naturale, è nella musica, nella danza e nella poesia recitata, giacché queste necessitano di un corpo vivo che le interpreti”, vengono suggerite anche da alcuni titoli creati da Sebastiano Lillo per alcuni dei brani. Per esempio, “Babylonya” ricorda le origini della civiltà, “Shaman from South-Est” fa pensare allo stato di coscienza espansa che dovrebbe far risalire alle origini remote dello spirito, mentre “Agua Santa” e “I wish I was a whale” riportano alla memoria l’immagine dell’acqua, liquido primordiale e battesimale. In tre di questi brani il suono dell’acqua si sente anche in forma naturale, tramite le registrazioni delle onde del mare in “Babylonya”, dell’acqua versata e bevuta in “Agua Santa” e della pioggia estiva con dei tuoni in “Shaman from South-Est”.

Musicalmente, i quattro brani finora considerati hanno caratteristiche diverse: il ritmo sincopato di “Babylonya” ricorda il cha-cha cubano; in “Agua Santa”, la batteria fa pensare al samba brasiliano e alle danze africane, mentre lo spartito di tromba ci porta l’immaginazione in Spagna, in un’atmosfera di corrida e paso doble; in “I wish I was a whale” la chitarra di Sebastiano Lillo fa sentire un nodo alla gola per via della nostalgica associazione mnemonica a quella di Dan Peek degli America in “Ventura Highway”, mentre in “Shaman from South-Est” si nota la percussione ripetitiva e accelerata che stimola la concentrazione, come probabilmente accade nelle pratiche sciamaniche, ma anche in diverse religioni che usano strumenti da percussione, compresa quella cristiana ortodossa.

L’uso dei tamburi come supporto per la meditazione si nota anche in “Feelin’ like sheep”, brano particolare che rimane impresso nella memoria, ricordando il rock’n’roll puro e classico. Nelle melodie, nei ritmi e nel timbro vocale si può sentire il ricordo di Elvis Presley, dei Deep Purple, dei Led Zeppelin e non solo… Come struttura e tecniche strumentali impiegate, il brano è decisamente somigliante a “Moby Dick” dei Led Zeppelin.

Quale sarebbe però l’esatto significato del titolo “Feelin’ like sheep” rimane per ora da scoprire: sarà forse un’allusione allo spirito gregario presente oggigiorno nella maggior parte di noi…? D’altronde sul disco ci sono altri tre titoli altrettanto misteriosi, ma anche in un certo senso comici, perché si riferiscono a oggetti dell’ambiente domestico: “Tostadora” (in italiano “tostapane”), “Cat’s House” (“casa del gatto”), “Summer Stove” (“stufa estiva”). Dietro a questi titoli si celano comunque degli esperimenti musicali ben pensati e realizzati, che creano piacere e curiosità: “Tostadora” si distingue per il suo ritmo impegnato e movimentato che in qualche modo ricorda le colonne sonore dei film polizieschi afro-americani degli anni ‘70, “Cat’s House” sembra un originale abbinamento tra le caratteristiche del cha-cha e quelle del reggae, mentre “Summer Stove”, come “Agua Santa”, ci fa viaggiare ancora nelle terre del Brasile.

I due brani che fanno riferimento esplicito al titolo dell’album sono la title track, “Loving Duende” – una specie di valzer cantato in una lingua inglese difficilmente comprensibile, con melodia e arrangiamenti che ricordano molto il country & western – e “Pelle di toro”, l’ultima traccia presente sul disco e l’unica il cui testo è in italiano. “Pelle di toro” sembra essere una spiegazione riassuntiva del tutto, nella quale Sebastiano Lillo riprende (con alcune modifiche, forse per adattarlo al grande pubblico) un frammento del saggio di García Lorca. Il poeta spagnolo scrive: “Chi si trova nella pelle di toro che si estende tra il Júcar, il Guadalete, il Sil o il Pisuerga (non voglio citare le onde di criniera di leone che agita il Plata), sente dire con una certa frequenza: «Questo ha molto duende». Manuel Torres, grande artista del popolo andaluso, diceva a uno che cantava: «Hai voce, conosci gli stili, ma non ce la farai mai, perché non hai duende»”.

Sebastiano Lillo invece, riferendosi all’estensione della “pelle di toro” (cioè della Spagna), nomina le zone confinanti anziché le località che si trovano agli angoli: “tra Gibilterra e Pirenei, l’Oceano Atlantico e il Mediterraneo”… e fa pure altri adattamenti forse di minor rilevanza, visto che comunque si tratta di una traduzione e non del testo originale.

Tutto sommato, il disco “Loving Duende” regala una musica viva, colorata e solare come la sua copertina, che va ascoltata con uno spirito aperto e giocoso, senza prendersi troppo sul serio. Come disse Alphonse Allais, giornalista e umorista francese della seconda metà dell’Ottocento, “Le persone che non ridono mai non sono persone serie”. (Magda Vasilescu)