PRINCESS THAILAND  "Golden frames"
   (2023 )

Pur senza perdere un’oncia del fascino buio ed incupito che caratterizzava sia l’esordio del 2018, sia la maestosa imponenza retrò del monumentale “And we shine” due anni più tardi, è un passo di lato quello compiuto dal quintetto francese Princess Thailand nelle dieci nuove tracce di “Golden frames”, su etichetta A Tant Rêver Du Roi.

Fedeli alla linea sì, ma non troppo: alla ricerca di una via più personale per reinterpretare il canone post-punk, si spostano dalle atmosfere tenebrose di matrice siouxsiana – con propaggini nella plumbea oscurità della dark wave anni ottanta, qui sublimata nella sola accoppiata “Hidden places”/”Machina” – ad una declinazione del verbo più contemporanea: nervosa, tesa, battente, sicuramente incline ad una vitalità ben sottolineata dal lavoro di produzione sui suoni e da un’accresciuta attenzione alle dinamiche.

I testi, che accentuano una volta ancora i temi predominanti negli episodi precedenti, sono un florilegio di depressa negatività: rabbia e perdita, ombre e fantasmi, sconforto e desolazione si agitano fra le trame contorte e spigolose di brani ben poco accomodanti, che solo di rado si concedono a rallentamenti foschi ed incombenti (“The night’s magician”), prediligendo altresì un mood incalzante amplificato dalle staffilate della ritmica.

In apertura, “Blinded fool”, “Ghost car” e “Control” formano un trittico micidiale in cui il climax lievita minaccioso, esaltando la vocalità espressionista di Aniela Bastide; la band celebra il suo tetro rituale tessendo partiture ostiche e infide, dagli scatti in controtempo di “Basement” alle scariche furiose di “The dispute”, fino alla chiusa trasognata di “Imperator”, unico episodio cantato in francese, pezzo stralunato, ipnotico, allucinato, ideale suggello ad un lavoro costantemente in bilico su molta notte e moltissimi incubi. (Manuel Maverna)