CABRAKAÄN  "Aztlán"
   (2024 )

Come si fa a proporre un sincretismo "altro", che navighi non solo a vista ma che non sia stucchevole o un indigesto Frankenstein? Un esempio viene dai pazzarielli messicani/canadesi Cabrakaän, con il loro cocktail a base di folk-metal rock ed elementi della cultura musicale azteca, più strizzatine d'occhio alla musica spagnola e affini.

Geniali, anche se non li vorresti come vicini di casa per i volumi sonori che sanno generare. Diciamo che sono, anche in virtù dei gorgheggi della vocalist di matrice classica, una specie di Evanescence meno prevedibili e mainstream, anzi farebbero simpatia a un Frank Zappa, anche se per piacere davvero al genio di Baltimora di origini italiane ("Tengo una minchia tanta") dovrebbero certamente osare di più in tutte le direzioni, e sembrano fin troppo trattenuti anche se all'apparenza esagerati e violenti.

E allora questi aztechi ribelli del XXI secolo, nella loro voglia di sfidare ancora le truppe di Hernan Cortès, cosa significano? Senza scomodare gente della mia infanzia musicale come i Popol Vuh (artefici della colonna sonora del mitico film di Herzog "Fitzcarraldo") e i Pop Group, qui c'è del valido, per spostare l'asticella dei generi creandone appunto uno nuovo, pescando da varie matrici.

L'ascolto non stanca quasi mai, anche se molte linee melodiche si somigliano e quindi l'architettura complessiva necessiterebbe un maggiore sforzo produttivo. Un Rick Rubin cosa farebbe con gente del genere potremmo solo sognarcelo nella testa. Di sicuro il valore va cercato anche nei testi e nei miti che li innervano, cogliendo spunti dai miti mesoamericani. Un mondo colonizzato da noi europei e che merita il massimo rispetto. Voto 7. (Lorenzo Morandotti)