TRISTITROPICI  "Magical animal"
   (2024 )

Innanzitutto complimenti per il nome. Tristitropici cita “Tristi tropici”, saggio-diario del celebre antropologo Claude Lévi-Strauss, che narra le sue spedizioni negli anni '50, volte ad esplorare i popoli autoctoni del Sud America. I tropici li definiva tristi, perché si riferiva a tutte quelle culture destinate inevitabilmente a perdersi, sotto il segno del progresso.

Fin qui, non afferro bene il legame tra questo, e la musica della band, che è un rock principalmente strumentale e con tendenza sperimentale e psichedelica, e momenti noise, come all'interno del brano “Posthuman”. Ma un suggerimento può arrivare dalla citazione al saggio, che trovo nel comunicato stampa. L'animale magico che dà il nome al loro secondo EP, “Magical Animal”, è quello evocato da una delle tribù esplorate, nel loro tentativo di raggiungere il soprannaturale. E forse inizio a capire.

Le sei musiche che compongono l'EP, si strutturano ognuna attorno ad un loop armonico, un giro di accordi con una precisa formula ritmica, ripetuta all'infinito con poche graduali variazioni. Sappiamo che, anche quando si parla, una cosa detta due volte non è mai uguale tra la seconda e la prima volta (a meno che non si faccia un copia-incolla); ma anche in quel caso, la mente percepisce la ripetizione come un rafforzamento, o un indebolimento del concetto espresso. Aggiungiamo che qui si suona a mano, due chitarre, un synth, violino e batteria, quindi giocoforza l'effetto di modifica nel tempo si amplifica.

“Lemongrass”, che chiude l'album, finisce devastata nel suo finale, ma non è necessario arrivare a quell'estremo. In “Molle mare”, il loop scelto per essere ripetuto è un giro sincopato, che ascoltandolo poche volte ha un certo delicato groove. A furia di rifarlo, il senso di groove si perde. Anche per la scelta della sequenza di accordi, che danno un senso di discesa, di appunto “mollezza”, come suggerisce il titolo. Al contrario, “Car sharing” è basata su un fraseggio allegro di chitarra, contraddetto poi dai suoni di sintetizzatore “detuned”, che danno un aspetto strano al brano.

“Cowboys” suona solenne, nei suoi 6/8 cadenzati, e qui si spezza un po' la ripetizione, con una pausa di silenzio a metà canzone, e una batteria che inganna, con la sua posizione ritmica del rullante. Sembra che qualcosa si incanti, ed è lì, che la mente si perde e sente forse altro nel brano. Ecco che si intravede l'animale magico, tra le righe, tra le onde sonore, complici anche i suoni effettati delle chitarre, come in “Lemongrass” o nell'agitato pezzo d'apertura.

Da sottolineare la cura nella ricerca timbrica: i suoni sono curiosi e accattivanti. “Magical Animal” è una piccola cabina telefonica, dove isolarsi e vedere che effetto fa. (Gilberto Ongaro)