ALICE CUCARO  "Una parte di me"
   (2024 )

“Una parte di me” rappresenta la parte intima e nascosta dell’anima di Alice Cucaro, giovane cantautrice e polistrumentista bolognese nata nel 1995. Con l’aiuto di Enrico Dolcetto nella produzione artistica e sotto l’etichetta Trasporti Eccezionali, Alice fa conoscere al pubblico le sue fragilità rivestite di delicata musica e poesia, “con una nota” – dichiara l’artista – “di perenne amarezza”.

Anche senza aver ascoltato il disco, già le parole “perenne amarezza” pronunciate da una ragazza di 28 anni, che dovrebbe percepire la vita come un cielo sereno e pieno di sole, sono un campanello d’allarme che avverte sullo stato di cose non proprio roseo nella società in cui viviamo. Infatti, i testi dei brani che compongono l’album – scritti da Alice Cucaro e in parte da Alessandro Solidoro – hanno come tema e come “sensazione” principale l’insicurezza causata soprattutto dalla precarietà affettiva, probabilmente figlia a sua volta della precarietà della vita in generale.

Il brano di apertura s’intitola “Kalahari”, metafora della solitudine in quanto nome di un deserto dell’Africa. C’è forse chi potrebbe trovare la scelta di questo titolo non molto adatta, visto che il Botswana (stato sul territorio del quale si trova gran parte del Kalahari) è abitato da un popolo solare e ospitale… ma molto probabilmente si tratta di una scelta dettata anche dalle necessità musicali: gli arrangiamenti ci fanno immergere in un’atmosfera sognante e rilassante creata dai ritmi africani delle percussioni di Manuel Cucaro, attraversata dalle sonorità di uno strumento a corde che richiama all’immaginazione il sitar indiano.

Il testo abbonda di espressioni che tradiscono una più che giustificata paura dell’abbandono: “Quando sparirai, domani...”; “Non so se dimenticherò il tuo odore/ le tue mani”; “ti seguirò”; “Ti prego, rimani!“; “Non lasciarmi più da sola...”.

“Disegnarti” è un’altra canzone di una particolare delicatezza e malinconia, con un coerente testo poetico scritto da Alessandro Solidoro e con la voce fresca di Alice accompagnata alla chitarra classica da Enrico Dolcetto. I suoni della chitarra cadono come sottili gocce di pioggia sulla ferita aperta che sentiamo attraverso le parole. L’argomento sembra essere quello che una volta veniva chiamato “tradimento” e che oggi è da molti percepito come stato normale di cose. Interessante è il verso “Svegliati se puoi e travestiti da te”, che fa pensare alla “maschera” necessaria per affrontare la vita sociale, una volta usciti dallo spazio dell’intimità.

Il dolore dell’anima risiede più che altro nel “vivere a metà, amarsi un po’ così, scordare la realtà, viaggiare stando fermi”, come se la felicità fosse incompatibile con la quotidianità, mentre per cercare di disegnare (quindi immortalare) l’amato bisogna per forza “rubare” un foglio… L’amore viene quindi vissuto come qualcosa di fugace e di non permesso, portando giustamente alla solita paura della perdita e della solitudine: “Questa volta, resta un po’ di più...!”.

La title track “Una parte di me”, sotto l’aspetto musicale si distingue forse poco dai canoni della musica pop attuale, ma per quanto riguarda il messaggio poetico potrebbe essere una sintesi degli stati d’animo dominanti della cantautrice, raccogliendo in sé una specie di razionalizzazione delle sensazioni che emergono dalle altre canzoni dell’album. Nelle sue strofe, Alice usa diverse metafore (“un fiore sbocciato sull’asfalto bagnato”, “una statua di marmo dal volto deformato, lasciata a metà”, “una goccia caduta dentro l’oceano”, “una piccola nave che affonda”, “una piuma bianca impregnata di catrame”, “una funambola appesa che non sa volare”, “una foglia autunnale”, “una bimba che non sa attraversare”), con l’intento di rivolgere all’ascoltatrice femmina una domanda che, “tradotta”, sarebbe questa: “Ti sei mai sentita sola e insicura?”…

Verrebbe da risponderle: “Sì, sempre”, ma lasciamo spazio alla risposta individuale di ogni donna... E anche in questa canzone ritorna la paura di un abbandono naturalmente e innocentemente percepito come conseguenza dei propri errori: “Lo so che sbaglio sempre tutto, ma ti prego, resta…!”.

Tre danzanti canzoni – “Sole insieme”, “Troppo tardi” e “Rollercoaster” – sembrano avere in comune l’associazione mnemonica a dei brani come “Non c’è” oppure “La solitudine” di una giovanissima Laura Pausini… I testi riprendono il leitmotiv che attraversa l’intero album: le due amichette protagoniste di “Sole insieme” vorrebbero “non piangere mai più per un deficiente”, il ragazzo al quale accenna la canzone “Troppo tardi” va via e “il freddo rimane” insieme al “profumo della tua pelle” (proprio come in “Non c’è” della Pausini), mentre in “Rollercoaster”, versi come “precipito nel VUOTO delle tue carezze”, “toglimi il vestito e tutte le mie SICUREZZE”, “sono nei miei occhi le montagne russe”, “mi aggrappo ad una favola che posso solo DISEGNARE” (per immortalarla e farla diventare in qualche modo realtà) oppure “Mi ami ancora come ieri?” fanno pensare a un amore con alti e bassi, vissuto alla giornata e privo di progettualità.

I brani “Caronte” e “Lupi” si distinguono per gli accompagnamenti chitarristici di tipo folk, che ricordano gli anni di scuola e i falò in spiaggia o in montagna. “Caronte” probabilmente non si riferisce proprio al traghettatore dantesco, ma piuttosto al nome attribuito dai meteorologi a un caldo anticiclone africano; in un’estate in cui tutta la natura era asciugata da questo vento, la protagonista del testo incontra un ragazzo di cui s’innamora e, ahimè, giunge alla fatale conclusione: “… non credo più tanto all’amore… sarà poi per questo che penso tu sia l’ennesimo posto sbagliato dove vorrei stare”.

Nella canzone intitolata “Lupi”, invece, rimane impresso nella mente il ritornello che recita: “Possiamo anche vagare, ché tanto, la mia casa, se è con te lo è dovunque”… L’anima femminile, e forse l’anima umana in generale, è sempre in cerca di una “casa”, di un’identità, di un senso dell’esistenza, e in un periodo storico in cui tali bisogni vanno in gran parte messi nel cassetto, l’unica speranza rimane l’attaccamento a delle persone amate o considerate tali.

Come la title track “Una parte di me”, anche i brani “Mi cucio le ali” e “Astronavi” musicalmente sembrano abbastanza in linea con le tendenze della musica da divertimento contemporanea… anche se, per quanto riguarda i testi poetici, di divertente ce n’è poco. “Mi cucio le ali”, già dal titolo, parla dei sogni infranti e dell’urto spietato contro la realtà, mettendo di nuovo in risalto la sensazione d’insicurezza e di continuo spostamento: “Il corpo è una scatola per un trasloco che dura per sempre” e “ti ho chiesto di restare, ma poi ti sei voltato e nella nebbia ti ho visto sbiadire”.

Significativi nel brano “Mi cucio le ali” sono i versi “Mi hanno detto di dire la mia, ma se dico la mia, poi non sono più tua”: la tendenza della società odierna a insegnare ai giovani l’individualismo e il “fai da te” entra in contraddizione con la necessità naturale di amare e di donarsi all’altro…

In “Astronavi” viene detto fin dall’inizio che “un osso rotto, quello si ripara; l’anima sfregiata, quella invece scava” e i diari della romantica ragazza diventano “antidepressivi al posto delle ali”, mentre “il panico poi arriva senza avvertire, ti squarcia con gli artigli come il ragno del Brasile”.

Una canzone particolare, come una radura di luce e serenità in mezzo ai turbamenti, è stata scritta per la nipotina della cantautrice e s’intitola semplicemente “E se…”. La musica è di una grande sensibilità e delicatezza; si sentono persino degli effetti acustici simili al suono prodotto dai grilli, che fanno immergere l’ascoltatore nel silenzio serale della cameretta in cui Alice e la piccola parlano sotto voce, dopo aver spento la tivù e prima di addormentasi… La giovane artista – e, chissà, futura madre – sembra affascinata dalla vita interiore della bambina, che forse le ricorda la propria infanzia ormai sempre più lontana: “E se ti addormentassi vicino a me, non ti sveglierei mai; appoggerei l’orecchio al tuo cuore, senza far rumore”… e la parola “rumore” viene ripetuta in un effetto sonoro tipo eco sussurrata, aumentando l’atmosfera sognante.

Ascoltando questa canzone che dona speranza, si è portati a pensare che probabilmente non sarebbe difficile imparare ad amarci anche tra adulti come amiamo i bambini, perché in fin dei conti non esistono amori di vario tipo, ma soltanto l’Amore. (Magda Vasilescu)