RICCARDO D'AVINO  "Autostop"
   (2024 )

Ho esitato poco nel prendermi carico dell’analisi del nuovo album del cantautore torinese Riccardo D’Avino “Autostop”, in quanto alligna in esso quella gradevole sensazione di varietà sonora che, in tanti, dovrebbero adottare, proprio per non relegarsi ad un mono-stile che, già dopo pochi ascolti, fiacca i lobi uditivi.

Quindi, con gran piacere, qui si gusta un melting-pot di pop, reggae, rock, swing e qualcosa d’altro, decifrabile con traduzione personale d’ascolto.

Eletto come primo portavoce dell’opera, “Fancazzista” inveisce adeguatamente verso i datori di lavoro, che pretendono tanto e pagano poco e piangono lacrime di coccodrillo perché non si trova personale, mentre per tutti quei santoni e guaritori che pullulano nel web, ecco che la satira è servita nel delizioso swing di “Il guru”.

La tipica vena cantautorale spicca nell’opener “Il prossimo viaggio” con un’acustica pulita e semplice, ed è proprio da questa semplicità che Riccardo sa espletare il suo ruolo di “raccontista” garbato ma, al contempo, graffiante senza ferire a sangue: insomma, nella giusta misura di un artista che non si elegge a giudice inquisitorio, limitandosi a fornire la sua mera visione di una vita, piena di precarietà e insoddisfazione, con l’eterno pollice all’insù per farci dare ancora uno “strappo” d’autostop fino alla prossima fermata.

Tra storie d’amori fugaci e volanti (“Check-out”), il becero orgoglio di coppia che non cede la ragione all’altro nemmeno a peso d’oro (“Questo lato di me”, duettato con la singer Roberta Monterosso) e l’invito a non cadere nella trappola dell’omologazione collettiva (“Io non ho niente di speciale”) permette al Nostro di variare la sua proposta multicolor, pennellando acquarelli ameni con setole pop e reggae.

Ma, nella sua “Voglia di gridare”, affiora anche un pizzico di nostalgia sacrosanta verso la bell’epoca che fu e dalla quale cominciò (ahimè) l’inizio della fine di scenari promettenti che la società cominciava ad esprimere, con lente ma arroganti imposizioni tramite una dittatura gentile e fuorviante.

Nella briosa coda di “Cascine Vica” Riccardo rende omaggio alla cittadina di Rivoli (mai valorizzata quanto merita), poiché in questo luogo di sua crescita adolescenziale affiorano una miriade di ricordi e segreti ancora incontaminati.

Chiamato a confermare la bontà del precedente “Ritorno al silenzio” e dell’e.p. “Presa d’incoscienza”, Riccardo D’Avino non delude le attese, pronto come sempre ad offrirci in musica, un piacevole itinerario paesaggistico: basta chiedere l’…Autostop. (Max Casali)