NOT ME BUT US  "Two"
   (2024 )

“L'universo trova spazio dentro me”, scriveva Mogol per Battisti. E quanto spazio dobbiamo avere, dentro di noi, almeno dal punto di vista di un microbo. Un po' come quello che percepiamo noi del cosmo. Il bello di parlare di musica senza testi, è che le parole ce le posso mettere io, qui. Si va nel soggettivo, è chiaro. Ma descrivervi la musica dei Not Me But Us in maniera troppo tecnica, rischia di rovinarla.

“Two” è un album di otto brani strumentali, del duo formato dal pianista Bruno Bavota, e dal producer Fabrizio Somma, che pubblica sotto il moniker K-Conjog. Insieme, creano una musica distensiva e dilatata, che unisce ambient, elementi techno, post-classica e post-rock. Tutti ingredienti da mondi sonori diversi, con l'obiettivo di realizzare una cattedrale sonica.

Non ho scelto la metafora a caso: l'etichetta britannica che ha pubblicato il disco del duo napoletano, si chiama proprio Sonic Cathedral. Questo mi riporta alla mente un sogno, che ho fatto diversi anni fa, che forse non dovrei condividere, però anche sì, perché può ispirare anche voi che leggete. Mi ritrovo dentro a una cattedrale, e ho una scopa di saggina in mano. Il prete mi dice che posso iniziare a pulire. In effetti, il pavimento è pieno di gatti di polvere. Così inizio a spazzare la cattedrale. Mentre lo faccio, osservo le vetrate gotiche, i cui colori si fanno sempre più vividi. E niente, mi sento in pace.

Spazzare la propria cattedrale. Questo mi ha ricordato “Inner space”, una traccia che fa volare. L'album è avviato però da “No words”, che senza offesa potrei definire una zimmerata per Nolan, visto il senso di grandiosità che dà il suono orchestrale principale, così tanto avvolgente, e affiancato ad un certo punto da rapidissimi arpeggi elettronici.

Con “Interlocking Mechanics” inizia a far capolino la drum, e con “Buildings” l'attenzione arriva sulle note di pianoforte di Bavota. Poche note, ma tutte al posto giusto, e un crescendo travolgente, che coinvolge anche alcune note di chitarra, ma il centro sta nei pad, quei suoni celestiali e altamente emozionali. “In a box” chiude di più i suoni, senza deflagrare mai, ma restando sempre in quest'aria azzurra. Anche la drum è molto ovattata, può ricordare a tratti un lavoro di Moby.

Riecco il pianoforte, con accordi gravi, bui e rimbalzati dall'eco, ad iniziare “Nocturnal humans”, mentre un basso synth pulsa in “When we see”, e i soliti suoni atmosferici si fanno ora più ondulati (oscillanti), ed entrambi gli elementi si rafforzano nel pezzo finale, “Us”.

Non Io, Ma Noi, così si chiama il duo. Fa pensare alla filosofia Ubuntu (io sono perché noi siamo), però in questo caso si riferisce al loro incontro. Loro dicono che l'amalgama è stata tale, che non riconoscono più chi ha suonato cosa, tanta è stata l'intesa negli scambi di idee. Dicono che sia solo l'inizio del viaggio, e non sanno dove li porterà. Queste dichiarazioni mi ricordano quel che Giorgio Moroder racconta, nel brano a lui dedicato dai Daft Punk: non si era reso conto di quanto impatto avrebbe avuto, la sua scelta di sincronizzare a tempo i sintetizzatori.

Ora, non sappiamo se i Not Me But Us abbiano in mano addirittura una proposta così d'impatto, da diventare trend setter, in futuro. Ma la profondità raggiunta attraverso le esplorazioni di “Two”, me lo fa augurare! (Gilberto Ongaro)