SKULLCLUB  "Kaptajn overdrive"
   (2024 )

Se bazzicate un po’ il genere, gli Skullclub da Kolding, Danimarca, potrebbero ricordarvi un incrocio tra gli Ska-P e i Nanowar Of Steel. Truci e battaglieri, salutati da favorevole riscontro nel nord Europa, in quindici anni di attività questi sei vichinghi moderni hanno realizzato due ep e due album, accoppiando con successo un immaginario piratesco ad un look ed un’indole da biker.

Su etichetta Mermaid Records, “Kaptajn Overdrive” ripropone a cinque anni da “Smækhugger” la consueta ricetta, basata su un approccio tosto e tenace, un ruvidissimo assalto a testa bassa, efficace sberla di folk-punk di indubbia irruenza e sincero slancio. Per chi, come me, non conosca il danese, è sufficiente limitarsi agli aspetti meramente formali, godendosi trentanove minuti focosi e indemoniati, un’ubriacante sarabanda di ritmi frenetici, ritornelloni contagiosi, schitarrate rabbiose, accelerazioni veementi e un tocco di divertissement, sparso ad arte fra le maglie di una musica fragorosa e pestona dai contorni epici.

Gli incastri basso-batteria sono prodigiosi e martellanti, il canto è furiosamente aggressivo: dritti come una spada, gradevoli e chiassosi, a tratti entusiasmanti, offrono una serie interminabile di bordate anthemiche perfette per la dimensione live, vero punto di forza della band.

Dalla bolgia infernale, emergono brani che ben volentieri dispensano spunti per lasciarsi apprezzare: dall’impasto banjo-growl-screamo di “Dødssejler” al country spinto di “Morgan… Få Din Kæbe På”, cantata in coppia con Anitta Svärd, dal passo à la Pogues di “Jolly Molly”, con annesso chorus alcoolico da Hofbräuhaus, fino ai refrain killer di “Pesten fra vesten”, “Kong Krykhusar” e ”Jagtsæson”, ogni traccia è uno sfoggio manifesto di potenza virulenta e solida compattezza.

Se solo sapessi il danese, volentieri canterei a squarciagola insieme agli Skullclub, con l’ennesima birra in mano: per ora, mi accontenterò della birra. (Manuel Maverna)