FRANCESCO BEARZATTI  "Post atomic Zep"
   (2024 )

Il sassofonista Francesco Bearzatti, friulano, classe 1966, già premiato come autorevole promessa mantenuta del nostrano jazz, ha appena realizzato un disco-omaggio ai grandi Led Zeppelin.

Parbleu, sacrilegio? Cosa diranno i puristi? Cosa diranno i jazzisti? La mescidanza, la contaminazione, l'ibridazione sono, come la metamorfosi, il sale della vita: senza la gravità, che ha messo scompiglio nella rigida distribuzione degli elementi nell'universo, creando inedite unioni, non avremmo la vita come la concepiamo.

Ecco quindi il senso di queste operazioni, quando sono ricerca pura, semina e raccolta e non nostalgia per mancanza di creatività. Qui siamo nel campo appunto della ricerca, del lavoro di scavo, dell'interrogazione, dove è compreso e anzi ha pieno titolo di cittadinanza attiva e propositiva questo "Post Atomic Zep'', viaggio lisergico e al contempo molto realistico e razionale (magia della musica che è poesia e matematica al contempo) attraverso un mito dei seventies che conferma la propensione del sassofonista a spingersi oltre i confini del genere jazzistico propriamente tradizionale.

In questo viaggio fuori dai canoni, dove l'unica bussola è oltre al modello zeppeliniano la libertà di evocarlo, percorrerlo e introiettarlo come linfa vitale, Bearzatti non è solo, qui è affiancato da talentuosi musicisti al basso, alla batteria e agli effetti per chitarra dal vivo.

Ai grandi classici dei Led Zeppelin quali "Stairway To Heaven" (tradotta senza tradirla ma esaltandone snodi e striature) e "Going To California" sono affiancate anche alcune composizioni originali frutto della visione creativa di Bearzatti e dei suoi collaboratori. "Con questo nuovo progetto ho voluto chiudere un cerchio molto importante per me, cominciato nel lontano 2005 con la pubblicazione di tre pezzi dei Led Zeppelin uniti a mo' di suite. Terminare un intero lavoro sulla musica degli ZEP e poterlo portare in tour era una cosa che avevo in mente da anni e sono felice di esserci finalmente riuscito. Mettere il distorsore sul sax e sentirsi contemporaneamente Page e Plant non ha eguali per me che sono cresciuto con questa musica".

Basterebbe questa frase per certificare la passione con cui il sassofonista procede nel suo approccio che nutre e si nutre e non semplicemente contamina, non è un'operazione da laboratorio, in provetta, un collage o patchwork, ma una sperimentazione di territori, militante e nutriente, piena di sorprese, dove l'artigianalità analogica prevale su ogni seduzione di intelligenza artificiale digitale, insomma un lavoro che sarebbe piaciuto, azzardo un giudizio del tutto personale, all'immenso Frank Zappa.

Voto 9. (Lorenzo Morandotti)