FRANCO BATTIATO  "L'Egitto prima delle sabbie"
   (1978 )

Si sieda pure. Mi dica. Ah, lei è uno di quelli. Si è innamorato di Battiato come tutti, quando si mise a parlare di gravità permanenti e di palome. Lo ha seguito in tutti questi anni, ha accettato tutte le sue diramazioni. Quando si muoveva come una marionetta e megafono per playbeccare “Bandiera Bianca”, quando si è seduto su un tappeto a meditare, e – fino a tal segno! – anche adesso che vivacchia tra reminiscenze punk e senescenze varie. Poi si è accorto che nella sua discografia c’era anche tanta, tanta roba antecedente al sentimiento nuevo. E ha fatto incetta dei dischi vecchi, vero? Lo abbiamo fatto tutti, glielo assicuro. E’ rimasto folgorato dalla genialità della tetralogia che va da “Fetus” a “Clic”, vero? Poi ha preso gli altri quattro, vero? Vero? Lo ammetta, “te lo leggo negli occhi”… Ma ha sopportato, per amore del Maestro. Infine, arrivato a “L’Egitto prima delle sabbie”, che magari ha comprato sperando ci fosse un minimo di commercialità, forse pensando che ci fosse dell’arabeggiante, del cammello, delle grondaie, insomma, che ci fosse qualcosa. Anche davanti al fatto che sulla copertina ci fossero solo due titoli, uno dei quali il minaccioso “Sud afternoon”, ma lei ci ha creduto comunque. E invece si è trovato di fronte all’ennesimo disco del periodo sperimental-classico del Nostro, un pianoforte che suona poche note, all’infinito. E ora vorrebbe buttare tutto all’aria, ipnotizzato, perché non ci capisce niente. Stia tranquillo: è capitato a tutti. Si consoli con questa certezza: mal comune, mezzo gaudio. Ma, se non ci fosse stato il Battiato del Dopo, noi non ci saremmo mai accorti del Battiato del Prima, che non parlava a noi, miseri mortali, ma ad una casta di classicismo che non è data a chi, come noi, vive ad un piano di sotto. (Enrico Faggiano)