FRANCO BATTIATO  "Giubbe rosse"
   (1989 )

Chissà se il sottotitolo era uno scherzo, una schermaglia d’amore, o un vero e proprio giudizio: “La Emi Italiana è abbastanza lieta di presentare il primo disco dal vivo del cantautore siciliano”. Sì, senza nemmeno il nome di Francuzzo nostro, e con quella semilietezza così sbandierata. Forse una contrapposizione ad altre operazioni da urlo, o forse la semplice reazione di chi lesse la tracklist. “Ma come? Niente bandiere bianche, niente sentimienti nuevi, niente stagioni dell’amore, niente Tozeur, niente di niente?”. Battiato, infatti, per il suo primo lavoro dal vivo (ce n’era stato uno, invero, all’alba dei tempi, insieme ad altri amici, ai tempi del “Telaio magnetico”), decide di fare un regalo ai suoi fans meno commerciali, senza donarsi più di tanto alle regole da classifica. Un inedito – la titletrack -, svariati gioiellini lasciati ad altri (“Mesopotamia”, “Alexander Platz”, “Lettera al governatore della Libia”), addirittura una lunga suite estratta da due album del periodo sperimentale, da “Aria di rivoluzione” a “No U turn”, probabilmente ostrogoto per chi aveva sbavato soltanto davanti alle voci del padrone. Perché i testi sono sempre stati bislacchi, ma vai te a spiegare “Areknames” al popolo di Domenica In. Come se Baglioni, in “Ale-oo”, avesse dato più spazio alle “Ad Agordo è così” che non ai passerotti e alle magliette fine. Solo il lato D (ah, bella dicitura!) si dedica al pop: non certo un’opera ruffiana, ma un piccolo sunto di quanto fosse stato nelle corde del Maestro, prima di chiudere il periodo delle vendite milionarie e dedicarsi ad altro. (Enrico Faggiano)