THE CLASH  "London calling"
   (1979 )

Nel 1977 la rabbia e le tensioni sociali inglesi sfociavano nel fenomeno musicale detto “Punk”. In realtà di innovazione strettamente musicale ce n’era poca. La musica Punk era semplice, distorta e veloce; ma non era un innovazione. Molti gruppi avevano già testato la velocità e la rozzezza Punk già diversi anni prima. Ma c’era un novità; la musica punk andava sistematicamente contro tutto ciò che erano le “regole”. Andava contro la borghesia dell’hard rock, andava contro la lentezza e il perbenismo. Insomma musica volgare e spensierata, musica elementare perché chi la suonava non era un musicista ma un rivoltoso… Diciamolo pure, il punk è stata una boccata d’aria fresca per la musica, che si faceva sempre più fredda e vincolata alla tecnica (vedi il progressive). Ma un fenomeno del genere non può avere continuità perché inevitabilmente il furore degli inizi si perde e la formula risulta dopo un po’ noiosa, vista la scarsa capacità di inventare da parte dei punk (come già detto non erano musicisti). La parabola dei Sex Pistols è molto significativa; loro sono il primo vero gruppo punk e sono anche il migliore gruppo punk. Fecero un solo disco, immortale, e poi si sciolsero perché avevano già detto tutto. Ma ci fu un secondo disco punk ancora più epocale di “Nevermind The Bollocks” dei Pistols. Grazie a questo album la mentalità punk potè perdurare (fino ai giorni nostri) sotto le false vesti di New Wave. E come fece a sopravvivere una mentalità nichilista e assolutista come quella punk? Beh diciamo che si vestì di un abito di gala e applicò alla lettera quello che il punk (o meglio il rock n’ rock tutto) predicava: non ci sono regole, anzi le regole vanno infrante appositamente per dimostrare la propria indipendenza. Il disco in questione è 'London Calling'. I Clash erano stati tra i migliori gruppi del punk datato ’77. il loro chiodo fisso era la politica e lo scontro sociale ('clash', appunto). Il loro esordio era di quelli al fulmicotone; più che canzoni facevano comizi accompagnati dalle chitarre (come dice un loro bellissimo pezzo dell’82). Ma nel proseguo della loro carriera si accorsero che qualcosa non andava; i testi di Joe Strummer erano troppo intellettuali per quel tipo di musica, le melodie di Mick Jones non si adattavano bene a quella musica così veloce e sgraziata. Insomma si accorsero che avevano capacità superiori a quelle che il punk richiedeva. Iniziarono la loro via verso forme più rock con il buon “Give ‘Em Enough Rope”, ma l’exploit arrivò con “London Calling”, appunto. In questo disco la filosofia punk è presente, aleggia sopra tutti i pezzi, come uno spirito guida. La differenza consiste nel fatto che qui la musica si fa migliore, ma non di poco. Al tempo fu un disco d’avanguardia; rimane tutt’ora un disco attualissimo. Sembrano canzoni d’oggi. C’è un grande riguardo verso la tradizione rock e una grande voglia di sperimentare nuove sonorità etniche. Da questo scaturiscono le 19 tracce (doppio Lp venduto come unico) del disco, che definire eterogeneo è poco. Eterogeneo ma non dispersivo, musicalmente raffinato, ma non fine a se stesso. Sperimentale, ma con un attitudine per nulla intellettualistica, bensì spontanea e incline al divertimento. La title track è un capolavoro, la canzone più bella, famosa e importante del gruppo. Un classico rock, ben ritmato e scandito. Il testo, funestamente profetico (si parla di “nuclear error”, che si verificò a Chernobyl dopo pochi anni), racconta delle “faraway towns”, cioè del degrado delle periferie. Molte canzoni del gruppo saranno improntate sulla politica. Anche “Brand New Cadillac” è un pezzo abbastanza classico. Semplice rock, sferzante e acido quanto basta. Già della terza traccia si intravedono sperimentazioni; “Jimmy Jazz” è un pezzo di jazz rarefatto e delicato. Fino a quel momento nessuno avrebbe potuto immaginare simili sviluppi. Ottimi i fiati e la chitarra davvero strana. Con “Hateful” si ritorna un po’ al passato; ed è un ritorno piacevole. Una sfuriata punk veloce ed incisiva. Certo, siamo ormai lontani dagli esordi; la musiche non si fanno mai distorte, ma l’attitudine è la stessa. Ed eccoci giunti ad uno dei brani più freschi ed innovativi del disco. “Rudie Can’t Fail” è una specie di ska-rock incentrato sui fiati. Nessuno prima aveva mai portato lo ska (prima di allora sconosciuto) nel mainstream. Il pezzo è poi arricchito dal manifesto gusto melodico del gruppo. Un altro pezzo melodico è “Spanish Bombs”, racconta della guerra civile in Spagna nel ’39. Deliziosa la prova di Jones, che si alterna al cantato a Strummer; quest’ultimo è l’anima militante del gruppo, il rivoltoso. Jones è il romantico. Il maggior pregio della canzone è la sua capacità di essere dolce, ma mai mielosa, grazie al refrain secco e asciutto. “The Right Profile” ricalca un po’ lo stile ska della traccia cinque, ma con un gusto per il divertimento ancora maggiore. Sembra un marcia, i fiati sono spesso strani e ridondanti. Siamo arrivati fino alla traccia sette passando per brani belli, freschi ed innovativi. Ma alla otto traviamo un capolavoro assoluto, un pezzo che raggiunge quasi la bellezza della title track. “Lost In a Supermarket” è una canzone chiaramente pop. Una canzone avanti anni luce, sembra un pezzo di quelli che dilagavano negli anni ’90, tutto però nel ’79. La splendida melodia di Jones non stanca mai, potrei ascoltarla mille volte ed avere ancora voglia di sentirla. Impreziosita da un testo triste, dolce e attualissimo. È un affresco della società nel dopoguerra, con la ripresa economica, nuovi mondi sono di là a venire. “Clampdown” è un brano energico e fresco. Dopo ben quattro pezzi leggeri, finalmente qualche schitarrata potente. Bene, ora siamo pronti per il brano centrale del disco, summa perfetta di tutte le nuove direzioni intraprese dal gruppo. Cantata dal bassista Paul Simonon (quello in copertina), “The Guns Of Brixton” è un reggae-rock, davvero stupendo. Uno dei pezzi più originali dell’ intera carriera dei Clash. La voce densa e bassa di Paul, la batteria pulsante e le chitarre in levare fanno di questo pezzo uno dei capisaldi del rock. Chiaro precursore del fenomeno crossover. Si nota qui una delle caratteristiche del gruppo che gli ha permesso di rinnovarsi e ampliare le sue possibilità. Il batterista Topper Headon non era di certo il tipo batterista punk; oltre ad essere tecnicamente superiore, egli era l’unico membro del gruppo di ceto elevato. Fattori questi, determinanti per lo sviluppo dello stile Clash. Oltre a permettere di suonare vari generi musicali grazie alla sua ottima tecnica, il fatto che ci fosse un membro “staccato” dalle condizioni psico-sociali degli altri ha permesso uno sviluppo meno influenzato dalla rivincita sociale, bensì dalla critica costruttiva. Testo politico reso ancora più credibile dal fatto che Simonon sia proprio di Brixton, a conferma della sincerità del gruppo. “Wrong ‘em Boyo” è uno dei pezzi che preferisco. È un brano allegretto, divertente e chiassoso. I fiati sono bellissimi e rendono la melodia ancora più accattivante e originale. Bisognerebbe sentirlo per poterlo descrivere; vi posso dire che non è come ve lo immaginate. Perché è davvero inimmaginabile! "Death Or Glory” si distingue per il suo refrain orecchiabile e per le chitarre sferzanti, sempre più rare nella musica del gruppo. Da notare il fatto che la chitarra non ha mai un ruolo centrale nelle canzoni, ma fa da supporto. Questo sta a dimostrare ancora una volta la solidità delle composizioni. Notevole il crescendo melodico finale. “Koka Kola” lascia infuori gli argomenti trattati fin dal titolo. È un altro brano pop-rock, dal ritmo incalzante. “The Card Cheat” è quella canzone che non t’aspetti (come molte nel disco). La musica orchestrata, dolce e densa, parte piano e si intensifica in un crescendo memorabile. La melodia vocale, così bella da commuovere, nella parte centrale, tesa ed emotiva, raggiunge vette comunicative davvero impareggiabili. Perfetta in ogni sua nota, in ogni parola. A mio parere il miglior brano in assoluto del gruppo; per quello che trasmette. “Lovers Rock” è l’unico pezzo chitarristico e presenta addirittura un assolo nel mezzo. Da notare il cantato sempre dolce ed intimo. “Four Horsemen” dà un po’ di ritmo, ma è ormai chiaro che il disco ha una forte impronta melodica. La strofa più sferzante e il ritornello in crescendo. Davvero forte ed incisiva! I Clash sono ormai capaci di fare ciò che vogliono e in “London Calling” sono al massimo della loro creatività e affiatamento. Ed ecco alla terz’ultima traccia rispuntare il caro punk-rock, sempre comunque modellato alle proprie esigenze. “I’m Not Down” come a dire; si mi sono calmato, ma non vuol dire che non stia ancora combattendo. Cambia solo il metodo. Oltretutto, i pezzi simili a quelli degli esordi, godono di maggior freschezza e vivacità rispetto a questi perché impregnati di melodia e gusto stilistico. “Revolution Rock” è l’ultima traccia. Si tirano le somme. Qui convivono reggae, melodia, invettiva, fiati, ritmica accentuata ed eccellente gusto estetico. Pur essendo musica complessa per le numerose influenze, risulta piacevole anche a chi si sofferma ad un ascolto superficiale e poco attento. “Train In Vain” è la traccia nascosta del disco. Infatti i Clash non volevano pubblicarla perché la ritenevano troppo pop. Fortunatamente lo fecero e ci regalano questa perla, una delle melodie più cristalline e agrodolci del gruppo. Bene, dopo circa un’ora il disco è finito. Che dire, è un disco veramente ricco e vario. Sicuramente ha un posto non irrilevante nella storia della musica. Nella sua eterogeneità non risulta dispersivo, bensì unitario e compatto. È un disco che ha influenzato e continua ad influenzare la musica rock. Il Rock n’ Roll passa per London Calling. E ne esce trasformato. (Fabio Busi)