WOJTEK "Nell'abisso del mio io"
(2025 )
Le apparenze ingannano. Prima di tutto, Wojtek non è un cantante polacco, ma un famoso orso che nella Seconda Guerra Mondiale l’esercito della Polonia aveva adottato come mascotte per sollevare il morale dei militari e che – a modo suo – partecipava ai combattimenti contro il male nazista.
È lui, l’orso soldato Wojtek, ad aver ispirato la scelta del nome dell’omonima rock band padovana in attività dal 2019, il cui sottogenere musicale combina elementi di sludge, post-hardcore e doom.
In secondo luogo, ma non meno importante, la finalità degli effetti sonori rumorosi e graffianti che si sentono sull’intero loro EP “Nell’abisso del mio io” (uscito il 16 aprile 2025 per Shove Rec, Teschio dischi e Violence in the veins) non è una malefica, bensì una curativa, poiché ci aiutano a metterci in contatto e a confrontarci con le nostre emozioni più profonde… a viaggiare, appunto, nel proprio abisso.
È un lavoro onesto, nato dal dolore dei suoi autori, che si donano al pubblico senza maschere e senza riserve; un segno di fratellanza, una mano tesa verso chiunque si possa riconoscere nel messaggio trasmesso dai suoni e dalle parole: “… i nostri pensieri si fanno suono e prendono forma in questo presente senza futuro. La realtà spaventa nel suo declino, ma non ci fermiamo. Vi diamo la versione più sincera di noi stessi. Se, specchiandovi tra questi riff, ritmi e ossessioni, troverete un pezzo di voi, allora avremo fatto qualcosa di buono”.
Tra l’altro c’è da notare che i brani realizzati dal gruppo negli anni passati sono presenti su varie compilation, tra cui una dal titolo molto efficace per quanto riguarda la comprensione dello spirito e del senso della loro tipologia di musica: “Silence is a Dangerous Sound” (Ripcord Records, 2021), tributo alla band statunitense Fugazi. Infatti, il silenzio è un suono pericoloso perché impedisce la consapevolezza e tiene all’oscuro le forze nemiche esterne e interne a noi, con la conseguente difficoltà di combatterle.
Nel periodo trascorso dal loro precedente album (“Petricore”, settembre 2023), nell’evoluzione dei Wojtek sono avvenuti due cambiamenti importanti: la sostituzione del cantante Mattia Zambon da Leonardo Amati (Slander) e il passaggio completo dalla lingua inglese alla lingua italiana. Quest’ultimo pare sia una tendenza diffusa tra i musicisti rock del Veneto, probabilmente scaturita dalla necessità di far arrivare la verità al pubblico in forma diretta e pura, senza la possibilità di nasconderla dietro le sonorità più morbide dell’idioma inglese.
Oltre alla voce di Leonardo Amati – nel cui “ruggito” si sentono delle frasi complesse e ricche di significato e spunti di riflessione – i Wojtek del presente disco sono: Simone Carraro (basso e cori), Francesco Forin (batteria), Morgan Zambon (chitarra e cori), Riccardo Zulato (chitarra e cori). Tutti insieme imprimono ai quattro brani che compongono l’EP “Nell’abisso del mio io” un carattere potente e avvolgente, con uno stile che la band chiama “death’n’roll”, ma che in realtà esprime tanta voglia di vivere e con la morte c’entra ben poco.
I cori eseguiti da tre tra i membri del gruppo assicurano un continuo dialogo con la voce solista per non lasciare mai spazio alla solitudine, mentre le due chitarre e il basso creano uno sfondo rassicurante grazie alla precisa e costante coordinazione con la batteria anche nei passaggi di alta velocità, come quelli presenti nel brano “E quando il sole si spegnerà, saremo noi a bruciare il cielo” (soprattutto intorno al minuto 3:00), oppure in “Ritmi” (intorno al minuto 1:50).
I testi, benché diretti e sinceri, sono comunque lunghi ed elaborati, con pochissime ripetizioni e scritti nel pieno rispetto della sintassi e della logica. In ognuno dei brani si può individuare un argomento centrale: in “E quando il sole si spegnerà, saremo noi a bruciare il cielo” (uscito inizialmente come singolo con video), il tema principale potrebbe essere il capovolgimento dei valori in un mondo in cui il relativismo tende a situare il male “nel cielo” e a spegnere il bene; in “Ritmi” viene espressa l’ossessione del tempo che passa inesorabilmente, mentre l’individuo rimane “fermo come un replay” senza alcuna possibilità di migliorare la propria esistenza, nonostante ne abbia la volontà; in “Veleno d’ombra” si tratta probabilmente del triste e purtroppo attualissimo tema della tossicodipendenza, mentre in “Specchio” l’immagine riflessa non è per niente gradevole e restituisce l’impietosa verità a chi si specchia (“non c’è più la dignità”… “sei tutto ciò che odiavi”), facendo al contempo sentire più responsabili del proprio cambiamento (“Scava nel tuo cuore, cambia la tua rotta”).
Ci sono alcuni elementi simbolici che vengono ripresi diverse volte nei testi dei quattro brani. Uno è il fuoco, considerato come forza del male che distrugge e trasforma in cenere, in contrapposizione con il fuoco divino; una metafora particolarmente bella in tal senso è presente in “Veleno d’ombra”, in cui viene detto che “una fiamma brucia, ma non porta verità”.
Un altro elemento importante e forse definitorio per la società attuale è la finzione. In “Quando il sole si spegnerà, saremo noi a bruciare il cielo” c’è un’intera strofa al riguardo: “Il veleno si nasconde/ tra le pieghe del tuo sorriso,/ dietro quella maschera/ sei solo polvere”. Mentre in “Veleno d’ombra”, “ogni goccia che assapori è solo illusione” e si vola con delle “ali che promettono, prive di sostegno”.
Infine, l’idea più forte tra tutte, anche se poco esplicitata, sembra essere la perdita della fede: nel brano di apertura viene detto due volte “non c’è più un dio”, dove la parola “dio” è con la “d” minuscola e con l’articolo indeterminativo, forse perché si tratta della scomparsa di qualsiasi tipo di spiritualità, non solo di quella cristiana. In “Ritmi”, invece, possiamo sentire una frase all’incontrario, anch’essa espressione del demonio: “Àtilituni id otresed atset aim al orig aion allen ogoffa”.
Non si può trascurare la grafica della copertina del disco: la testa di una persona fotografata di spalle. Chi ha lavorato negli ultimi anni come insegnante ha potuto osservare che anche diversi ragazzi di età scolastica disegnano autoritratti simili ed è interessante, quanto inquietante, cercare di scoprirne il significato. Vergogna…? Indifferenza…? Protezione della “privacy”…? Capovolgimento come la frase all’incontrario…? O ricerca dell’originalità a tutti i costi…?
Con la speranza di avervi invogliati ad ascoltare “Nell’abisso del mio io”, auguriamo ai Wojtek tanti anni di buona musica ancora e, come si suol dire, “non chiedeteci di abbassare gli ampli. Mai”. (Magda Vasilescu)