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NULARSE "Ospiti"
(2025 )
Nularse si trova in quella linea di confine tra pop italiano e canzone d'autore. Non a caso ha condiviso palchi con artisti come Fulminacci e Giorgio Poi, ci trovo quella stessa ambizione a scrivere con una “profonda leggerezza”, o una “leggera profondità”.
“Ospiti” è il suo terzo album, uscito per Costello's Records. Contiene otto canzoni, e stilisticamente ci sono tutti gli elementi che hanno caratterizzato la recente scena pop alternativa (quella che solo in Italia ci ostiniamo a chiamare “indie”, medaglia di nessun valore aggiunto).
Chitarre battistiane (o meglio à la Iosonouncane, ma il padre di questa salsa è sempre Lucio), percussioni, e inserti orchestrali.
Nei testi, Nularse sta cercando una prospettiva personale, che cerca di avvicinarsi a un novello Niccolò Fabi, anche se c'è ancora parecchia strada da fare. I versi sono scritti in maniera semplice e lineare, ma il contenuto non è scontato.
“Lacune” apre l'album e contiene una riflessione onesta sull'arroganza della gioventù che tutti abbiamo avuto: “Tutte le mie lacune, tutte le mie paure che le persone siano tutte uguali, quando invece sono fatte a strati, dove poi ci sono scivolati i miei vent'anni, i tuoi vent'anni”. Le lacune interiori sono segni di consapevolezza, e ci insegnano l'umiltà.
Ma prima di riempire le lacune, si contempla il vuoto che occupano, con “Deserto”: “Corpo, ti ascolterò, conosci il mio bisogno. Credo, ti accoglierò ai limiti del pensiero”.
Un piano elettrico ci introduce nelle “Nebbie” del terzo brano, quelle delle memorie: “Riguardi gli sguardi felici di un solo colore, ci mangiavamo le ore. Il tempo costa poco a chi sta fermo, è solo un gioco scemo che poi vinci tu (…) e non capivo il valore delle tue buone illusioni”.
Con “Croce sul petto” si finisce nel freudiano: “Tua madre ogni notte rimpicciolisce, la metti dentro tutte le altre donne, sepolta chissà dove. E tu hai paura di scordarne l'odore, ma lei impara davvero soltanto se soffre, e tu ti innamori sempre di quelle cose che hai lasciato andare”.
La figura materna torna anche nella titletrack “Ospiti”: “Alla fine hai ragione tu, sarei dovuto rinascere nella bocca di mia madre, nello sguardo di tuo padre”. Questa canzone in particolare ha un bel crescendo finale, quasi rock. L'analisi della propria identità continua: “Noi siamo camere affollate di ospiti inattesi, col timore di tardare anche solo un po'”.
Altro pezzo nel passato è “Forse domani”, che non è proprio nostalgico bensì più critico, immerso tra situazioni di un'infanzia familiare: “Specchio riflesso, dammi un po' di nostalgia, avevo il cuore di corallo e d'inverno la fantasia (…) e la mia acerba malinconia (…) Ora non ricordo più se l'avevi detto tu che la bocca è come un taglio che non si ricuce mai. Mi dimenticherò di quando dormivamo con la luce accesa, e di come tutto a un tratto ti sei arresa ai 'forse domani' avrei dovuto dire no (…) Vorrei solo un'altra scusa per capire una buona volta la differenza tra un errore e una cosa andata storta”.
Dopo questi ripensamenti e forse rimpianti, gli ospiti ritornano in “Io non mi conosco”, dove un aiuto per la crisi d'identità è chiesto alla notte: “Notte (…) Sei uguale tu, son diverso io. Io non mi conosco, chiedimi chi sono. Ti dirò allora tutto quello che indosso e tu saprai andare sempre oltre quello che non ti mostro”.
E infine, come ogni vita, anche il disco si chiude con la Nera Signora, che qui prende il nome di Ombra. Ne “L'Ombra”, Nularse si arrende alla fatalità: “Vuole abitarmi il cuore, quell'Ombra che sembra conoscermi e non mi lascia mai. Si nasconde tra le parole, quelle che sai, ma non hai mai detto. Io che non dormo più, io che non sogno più, ora non voglio più combattere”.
“Ospiti” è un album da ascoltare con attenzione, che tramite le sonorità pop alternativo riesce a catturare quella generazione Y di non-più giovani, finalmente pronti ad ascoltare qualcosa di più adult oriented. (Gilberto Ongaro)