KARL BARTOS  "Communication"
   (2003 )

Provare ad emanciparsi dagli uomini macchina come principale obiettivo della propria vita, almeno quella artistica. Lui, come Wolfgang Flur, era paggetto della Premiata Ditta Ralf Und Florian, ovvero i signori "Kraftwerk" (detto con voce robotica, bitte): tutto bene quando le cose andavano bene, ovvero al momento del successo, dei gol commerciali, dei tour mondiali. Meno bene quando, dopo il 1986, i due preferirono darsi al ciclismo lasciando stare macchine, robot e tutto il resto: d'altra parte, il mondo stava cambiando, e l'ultimo "Electric cafè" sembrava quasi fuori moda. Una bestemmia, per loro che erano sempre stati anticipatori di suoni e mode, come cercare di collegarsi ad una rete wireless con un Vic20. La stasi non piaceva però ai due paggi, che cercarono piano piano di affrancarsi e liberarsi dal torpore che aveva colpito la storica sigla teutonica: Karl si mise a collaborare con gli Electronic - specie di megagruppo di amanti del synth, dato che mischiava ordini nuovi, ragazzi che vendevano animaletti, varie ed eventuali - e poi decise per il definitivo auf wiedersehen. Volò qualche panno sporco (e nell'autobiografia scritta da Flur non si risparmia nulla), poi arrivò anche l'album solista. Che è un curioso sunto di tutto ciò che Bartos aveva fatto in precedenza: c'è molto senso della melodia, tanto ma tanto vocoder (specie nelle iniziali "The camera" e "I'm the message"), altre cose che rimandano allo stile New Order ("Life", per esempio), in un fiorire di elettronica a prova che chi nasce tondo non muore quadro, insomma. A sentirlo, sembra il classico "Kraftwerk for dummies", depurato dagli orpelli e dalle tante stranezze della sigla originale, quindi forse più commerciale e meno pretenzioso, se vogliamo. Però, privato della genialità indiscussa dei due Robot Principi, la troppa semplicità fa perdere un po' di appeal, e dopo l'esaltazione del primo ascolto - soprattutto se siete figli di Pitagora e dei Depeche Mode - ci si può sentire con la pancia piena dopo poco. Certo, suona davvero demodè, però il consiglio che si può dare a tutti gli electroboys del nuovo decennio è di passare, comunque, un po' di tempo davanti a questo disco, come a quelli dei fratelli maggiori Kraftwerk: sono quasi un'enciclopedia a dispense di come un sintetizzatore non basti per essere felici, e che serva, comunque, anche tanta inventiva dietro. (Enrico Faggiano)