NERONOVA  "I colori del nero"
   (2008 )

Quando, circa 3 anni fa, vi parlammo per la prima volta dei modenesi Neronova, trasparì dalle nostre righe una malcelata ammirazione per questi ragazzi, per le loro notevoli capacità di scrittura ed esecuzione, ma anche e soprattutto per la loro scelta di proporre crossover rock (con spunti di garage e di puro hard) in idioma rigidamente italiano. Scelta che, per fortuna, permane in questo nuovo lavoro, "I colori del nero" (registrato ai Fear Studios di Alfonsine, in provincia di Ravenna, da Gabriele Ravaglia), ed anzi si rafforza, si solidifica, fino a diventare il tratto distintivo della band emiliana, alla pari di realtà al momento più celebri come Negazione, Linea 77 o Pino Scotto. Ritroviamo "Medea" (già presente nel succitato "Memorie di un clown"), più altri 11 brani originali e centrati, e la sorprendente cover di "Like a prayer" di Madonna, notevolmente e compiutamente stravolta, com'era accaduto con “Rebel Yell” di Billy Idol nel precedente lavoro. La voce di Tiziano Panini ha acquisito ancor più forza e maturità, e le influenze musicali del gruppo (verrebbe da citare alla rinfusa Motorhead, Nine Inch Nails, Queens Of The Stone Age, Motley Crue, Steve Vai, Dream Theater, e chi più ne ha più ne metta) non scadono nemmeno per un attimo nella pura citazione, mantenendo un'originalità rimarchevole, unita ad un livello qualitativo a tratti davvero sorprendente. Ma è probabilmente nelle ballate, quando si acquieta la distorsione per passare a corde di chitarra semplicemente accarezzate (come in "Pietre al confine"), che emergono probabilmente i momenti migliori di quest'ottimo disco. Come nel caso di illustri predecessori (Led Zeppelin, Poison, ma anche l'italianissimo Vasco), quando il contesto tipicamente rock riesce a tradursi in toccate e fughe melodiche, il contesto, invece che perdere credibilità, acquista ulteriore forza. E' in questa dicotomia, in questo essere al tempo stesso Dr.Jekyll e Mr.Hyde, che risiede con tutta probabilità il roseo futuro dei Neronova. Non che il presente non sia florido. Anzi. (Andrea Rossi)