KAJA  "Crazy peoples right to speak"
   (1985 )

La storia degli anni '80 è piena di questi strani casi, di meteore che non seppero diventare pianeti, e vai te a capire per quale motivo. Gruppi che si sciolgono proprio mentre il disco di esordio arriva numero uno, gruppi che cambiano formazione quando la copertina è già in stampa (il caso clamoroso di "The final countdown" degli Europe), e poi il loro. Terzo disco in tre anni, ognuno con qualcosa di diverso dal precedente: il primo con un nome ed un cantante, il secondo con lo stesso nome e un altro cantante, il terzo con un nome diverso e lo stesso cantante del secondo. In parole povere: nel primo disco cantava Limahl e si chiamavano Kajagoogoo, nel secondo cantava Nick Beggs e si chiamavano ancora Kajagoogoo, in questo canta ancora Nick Beggs ma il nome viene scontato in Kaja. Capirete che anche il pubblico di bocca buona dell'epoca poteva perdersi d'animo, e pensare che tutto sommato non glielo ordinava il medico di mantenere la fedeltà. Loro, poi, non è che facessero molto per restare a galla, dato che in questo terzo disco c'era un buon singolo ("Shouldn't do that"), qualche altro accenno sparso qua e là di allegria (“Sit down and shut up”), ma anche tanta di quella monotonia che poteva saltare fuori, nei dischi di chi voleva dimostrare di saper anche suonare - e i Kajagoogoo erano capaci - e che quindi si perdeva in virtuosismo lasciando da parte il fatto che, nel pop, si deve prima di tutto essere attraenti e poi eventualmente accademici. Infine, stava venendo a noia quel genere tardo funky che aveva i primi Duran Duran come grandi esperti in materia (e, guarda caso, i Kajagoogoo erano una produzione di Nick Rhodes), ed è quindi comprensibile il passar quasi inosservato del prodotto. Un peccato, perchè dietro c'era molta più carne al fuoco che non in altri casi, estremamente sintetici e privi di nerbo. Ma come fare, se ogni volta si doveva non solo promuovere il disco, ma anche ricordare "siamo quelli di prima, ma non del tutto"? (Enrico Faggiano)