MARC ALMOND  "Enchanted"
   (1990 )

Marc Almond è un cantante d’altri tempi. Bizzarro, sopra le righe, ostentatamente melodrammatico e teatrale al limite del fumettistico, si è sempre caratterizzato per le performance istrioniche e per la sapiente modulazione di una stentorea, sensuale vocalità. Icona gay-glam sin dai giorni eroici della sua prima fortunatissima avventura nello showbiz (lo storico duo Soft Cell con David Ball), Almond non raggiunse mai grossa notorietà al di fuori delle domestiche mura albioniche, sebbene la sua popolarità abbia conosciuto giorni gloriosi anche in alcune fasi della lunga carriera solista che ancora oggi prosegue in barba alle mode imperanti ed alle scarse vendite. Almond è un puro, un artista vero sempre rimasto re – anche se con pochi sudditi – senza abdicare mai nè svendersi al mercato, attraversando trent’anni di musica con una coerenza ed una professionalità encomiabili, animato da una passionalità autenticamente sincera e viscerale. I brani di “Enchanted”, lavoro del 1990, vedono Marc oscillare tra disco-music degli eighties (“Waifs and strays”), suggestioni da cabaret mittleuropeo (il variegato pastiche dell’opener “Madame de la luna” con accenni di valzer e puntate tzigane), aperture sinfoniche affidate al dominio delle tastiere (il romanticismo tempestoso di “The sea still sings”, la toccante dilatazione in crescendo orchestrale della conclusiva “Orpheus in red velvet”) e massicce dosi di flamenco, vero (la trascinante escalation luciferina di “Deaths diary” e la sofferta agonia di “Toreador in the rain”) o mascherato da ritmi danzerecci (la più ricercata e varia “Widow weeds”, l’ingannevole, fluente melodia di “Desperate hours”). E’ un piacevole florilegio di ritmi sintetici, di armonie carezzevoli ed ampie (splendida la ballata mid-tempo di “A lover spurned”), di contrappunti (le nacchere in “Widow weeds”, la tromba in “Madame de la luna” ed in “A lover spurned”, la fisarmonica nel porno-tango lascivo di “Carnival of life”) che mirabilmente ne assecondano l’andamento ondivago e l’insinuante erotismo di fondo. Disco pomposo, sovraccarico, a tratti ridondante nel suo taglio da burlesque, un gradevolissimo show da teatrino di rivista, saggio apprezzabile dell’onestà intellettuale di un autore ed interprete il cui cristallino impegno artistico non ha forse ottenuto la fama che avrebbe meritato. (Manuel Maverna)