CARMEN CONSOLI  "Mediamente isterica"
   (1998 )

Carmen Consoli, artista catanese sulla breccia da quasi vent’anni, è personaggio ben noto e familiare al grande pubblico, che non ha quasi mai mancato di riconoscerne le molte doti premiandola con vibrante affetto e sincera devozione. Anche in “Mediamente isterica”, suo terzo album e disco della maturità, la vocalità di Carmen risulta a tal punto calcata da riuscire nell’ambivalente operazione di risuonare sì come tratto altamente distintivo, ma di ridurre inopinatamente ogni traccia ad una copia della precedente: a poco giovano le variazioni musicali, se è vero che il canto forzatamente flautato e gorgheggiante di Carmen tende ad appiattire inevitabilmente ogni accenno di differenziazione. Il risultato complessivo è una perdita di focalizzazione (da parte dell’ascoltatore, non di Carmen) sulla canzone nella sua interezza, sviati come ci si trova dallo stile canoro e dalla tendenza ad alterare massicciamente la metrica dei versi, con una perdita di accenti e cesure altrimenti funzionali ad una migliore definizione delle composizioni. Le quali – va detto – ondeggiano ed oscillano alternando impennate elettriche e pavide, incerte ballate riflessive, rese stucchevoli da una inestinguibile vena da chanteuse sui generis: peccato che – da una parte - le tracce non siano liricamente abbastanza ricche per meritarle il crisma di cantautrice latu sensu e – dall’altra – che la durezza tipicamente rock di alcuni episodi non sia portata ai livelli estremi che le varrebbero ben altra qualifica ed accresciuta credibilità. Quella che emerge dalle tredici tracce di “Mediamente isterica” è allora una Consoli incompleta ed incompiuta – benchè matura e consapevole di una innegabile classe superiore -, stilisticamente autoreferenziale al punto di cadere vittima delle proprie peculiarità, prigioniera di una scrittura che deve adattarsi al personaggio per calzarle addosso come un guanto. E’ una scrittura eccessivamente elaborata per risultare anche gradevole, intrappolata nella morsa di un malcelato femminismo di fondo e soffocata dal timore di alzare il volume per lasciare finalmente deflagrare in tutta la sua potenza compressa questa musica talvolta monocorde e cantilenante fino alla noia (“Quattordici luglio”, “Autunno dolciastro”); con alcune graditissime eccezioni – che invece dovrebbero forse rappresentare la regola - le chitarre suonano timide, relegate ad un ruolo da comprimarie di sostegno, di rado sciolte fino alla liberatoria detonazione (la coda della tesissima “Sentivo l’odore”, il grunge violentissimo di “Geisha”), più spesso destinate a contrappuntare ballate efficaci (“Besame Giuda”, “Eco di sirene”, “Contessa miseria”) o soltanto ad accompagnare brani inessenziali (“Puramente casuale”, “Ennesima eclisse”, l’insipido semi-recitato de “L’ultima preghiera”). E’ un’incertezza formale alla quale è sottesa una titubanza compositiva ben più radicata e sostanziale, quella che lascia Carmen in bilico tra le due anime che la possiedono; spiace assistere alla dispersione di una schietta, sincera, ruvida e ruspante attitudine rock, quella stessa attitudine alla quale poter attingere per mascherare brani tutt’altro che irresistibili e per ravvivare un disco che, nonostante gli alti propositi ed alcuni trucchi da risaputa mestierante, resta fiacco e tedioso, benchè mai scontato nè banale. (Manuel Maverna)