NORAH JONES  "Not too late"
   (2007 )

Norah Jones gode di ogni fortuna immaginabile: è giovane, carina, sa cantare, è una valente pianista, è figlia d’arte (suo padre è l’ultranovantenne, celebre sitarista Ravi Shankar), in pratica un lasciapassare per la fama. “Not too late” è il suo terzo album, il primo nel quale la bella Norah è autrice di tutti i brani, disco nel quale miscela sapientemente soul, blues, jazz, folk ricorrendo ad uno stile rassicurante e per nulla invasivo, gigioneggiando furbetta e maliziosa tra paletti ben noti entro i quali si muove con consumata scioltezza. La ragazza non sbaglia una nota nè una scelta, semmai stenta ad impressionare: gli episodi migliori sono proprio quelli che maggiormente si discostano dalla forma-canzone della ballata soft, ossia il fumoso dixie waitsiano di “Sinkin’ soon”, impreziosito da una tromba struggente, e la tetra melanconia di “My dear country”, sorta di spettrale lied da cabaret espressionista. Il resto dell’album è dominato curiosamente da un taglio country-folk che suona anomalo se raffrontato al tipo di vocalità, più adatto ad esprimersi tramite i canoni del jazz; ma è proprio il folk a dominare nell’iniziale “Wish I could”, nel puro e semplice country intimista di “Little room”, nelle atmosfere riflessive – mai tetre – di “The sun doesn’t like you”, “Wake me up” e “Broken”. In senso lato, è musica roots che attinge a piene mani dal serbatoio della tradizione, pescando ora dal soul (“Thinking about you”), ora dal jazz leggero (“Not my friend”), ora dal music-hall (i due slow da mattonella di “Until the end” e “Rosie’s lullaby” sono emblematici), ora addirittura da suggestioni caraibiche (il calypso di “Be my somebody”, con un bell’inciso). Norah non possiede una grande estensione vocale, ma ha nelle corde uno swing innato, semplice e misurato, dotato di un fascino ammaliante; riesce a dare sfoggio di una classe cristallina senza mai forzare, e “Not too late” è un buon disco, a tratti ottimo. E’ un disco delicato proposto con garbo, un album che facilmente può piacere, sebbene solo di rado riesca a sconvolgere (ad esempio nella già citata “Sinkin’ soon”): non azzecca grosse hit nè ritornelli memorabili, puntando sul groove e sull’interpretazione più che sulle canzoni, ma resta sempre sinceramente piacevole, regalando qualche brivido e molta serenità. Con stile. (Manuel Maverna)