AFTERHOURS  "Hai paura del buio?"
   (1997 )

Se "Germi" col suo nuovo idioma non fu un vero e proprio debutto, fatto più che altro di traduzioni in italiano di brani in inglese del loro vecchio repertorio, "Hai paura del buio?" segnò la reale, definitiva affermazione del culto-Afterhours. Mai in futuro la band di Agnelli sarebbe riuscita a ripetersi ai medesimi, inarrivabili livelli di dissacrante follia che dispensò nelle diciannove tracce di questa pietra miliare dell’indie-rock italico. Nel grande frullatore creato da queste tre menti malate e dai loro degni accoliti c’è posto per tutto, basta che si possa fare a pezzi, sbriciolare, mutare in qualche forma distorta che conservi tratti riconoscibili mentre viene barbaramente sfigurata. L’operazione viene compiuta con chirurgica precisione ed efferata dedizione criminale senza forzare la struttura dei brani, che resta tradizionale: le partiture sono semplici, gli accordi consonanti, i giri armonici, i ritmi regolari. La stranezza allora risiede tutta nella malsana devianza che permea ogni sillaba sputata, latrata, biascicata, recitata da Agnelli e negli strapazzi sonici coi quali Iriondo violenta ogni brano, si tratti di psichedelia (il groove malato 70’s di "1.9.9.6." o la voragine nera che inghiotte la cadenza satanica di "Punto g") o di frustate stordenti ("Male di miele", "Rapace", "Veleno"), di lo-fi maniacale ("Senza finestra", "Simbiosi") o di cupi esperimenti ("Mi trovo nuovo"). Sulla tavolozza ci sta qualsiasi colore, niente è impossibile in quei 4/4 canonici, che anzichè ingabbiare i brani paiono espanderli in direzioni impossibili, come un’evasione mentale da una vera cella: ci sta il violoncello che culla la malinconia tenue e amara di "Come vorrei", e ci stanno pure gli scherzi grotteschi - che sono da sempre un pallino di Agnelli – di "Questo pazzo pazzo mondo di tasse", o la cantilena in falsetto di "Musicista contabile"; ci stanno le schegge hardcore di "Dea" e "Lasciami leccare l’adrenalina" lanciate a velocità assurda, frecce spezzate prima di raggiungere il bersaglio; ci sta la goliardìa sardonica di "Sui giovani d’oggi ci scatarro su" che prosegue con rinnovata cattiveria lo sketch di "Siete proprio dei pulcini", e ci sta la lenta ballata di "Pelle" con un ritornello che si eleva tagliente e carezzevole sopra un morbido fiume elettrico. E soprattutto ci sta l’arpeggio che cesella la stralunata, soffice melodia sbavata di "Voglio una pelle splendida", trionfo dell'effimero, elegia del nulla, canzone bella come un sogno che vorresti non finisse mai. Irripetibile. (Manuel Maverna)