DAN BERN  "New american language"
   (2001 )

Dan Bern, talentuoso artista dell’Iowa di origini ebraiche, è da oltre vent’anni songwriter prolifico e poliedrico, capace di sunteggiare in una serie assai nutrita di composizioni e di frequenti album pubblicati, decenni di musica americana con piglio scanzonato, brioso ed intrigante. In un perpetuo florilegio di modelli e maestri, nonchè di generi e stili propri della tradizione canora d’oltreoceano, il funambolico Bernstein impasta be-bop (“Honeydoo!”), improbabili suggestioni etniche (“Rice”), ballate languide (“Toledo”, “God said no”), classici mid-tempo che flirtano con l’onnipresente folk-rock (“Sweetness”, “Tape”) e squadrati episodi da Fm (il trascinante singalong di “Alaska highway”), sempre corredando il tutto con testi intelligenti venati di uno sferzante sarcasmo e di una pungente ironia. Fra Bob Dylan, Tom Petty ed Elvis Costello, tra un’armonica di frontiera ed un country cesellato con nonchalance (“Black tornado”), la voce nasale e la colorita espressività di Bern pennellano un’opera non certo esaltante nè da annoverare tra i suoi migliori lavori, ma comunque godibile, specie nei brani maggiormente strutturati dal punto di vista melodico (“Albuquerque lullaby” su tutti). Peccato che talvolta l’istrionico Bern si dilunghi in parentesi eccessivamente verbose ed autoindulgenti, come i dieci tediosi minuti della conclusiva, interminabile e cantilenante “Thanksgiving day parade”, rea di chiudere in calando l’ora abbondante di un dignitoso album con l’episodio meno entusiasmante. Gradevole disco di transizione, piacevolmente inutile. (Manuel Maverna)