MANU CHAO  "Próxima estación: esperanza"
   (2001 )

Premesso che potrei passare pomeriggi interi ascoltando le nenie ingannevoli ed ipnotiche dell’incantatore di serpenti Manu Chao, va anche detto – ad onor del vero – che il piccolo gitano possiede anche una gran bella faccia tosta. Genietto dell’intrattenimento, questo ex-ragazzo è furbetto per davvero, capace di riempire interi album con pochissimo dispendio di mezzi ed energie, ed anche – pure questo va sottolineato – con poche idee che riesce a valorizzare grazie ad un approccio scanzonato e guascone alla musica che scrive e propone. I brevi brani – molti dei quali in spagnolo, ma “Bixo” è in portoghese, “Merry blues” e “Promiscuity” in inglese, “Le rendez vous” mezza in francese e mezza in inglese - sono sempre esili, affidati al sostegno scarno di una tastierina, di una drum-machine, di una chitarra zingaresca e di contrappunti vari, spesso fiati; sono canzoni fatte di poco che il signor Tramor interpreta (più che cantarle) con un filo di voce sgraziata lasciando al groove creato ad arte il compito di reggere la baracca con tanto fumo e poco arrosto. Ma se scegli di stare dalla sua parte, il gioco è piacevole pur puzzando lievemente di raggiro. In un bizzarro teatrino delle marionette del latin-pop, il sapiente burattinaio sembra continuamente rimpastare le tracce usando di continuo le medesime basi (e cambiando le parole), o ripetendo le stesse strofe (e cambiando le musiche), al punto che verso la fine pare di stare ascoltando la stessa canzone dall’inizio; ed in effetti il tributo a Marley di “Mr Bobby” e il recitato – con voce altrui - di “Homens” impiegano una base identica (tra l’altro proprio quella che servirà per l’auto-cover di “King of Bongo”), così come “La primavera”, l’infida “Me gustas tu” col suo singalong scioccamente irresistibile e l’altro recitato – sempre con voce terzista – di “Infinita tristeza” ricorrono allo stesso sample con assoluta, candida sfrontatezza, un po’ come riciclare la plastica raccolta nel sacco giallo. A patto di accettare le condizioni imposte dal folletto, ci si diverte anche grazie a tutta una serie di scherzi, frizzi e lazzi ben assortiti, sketch da un minuto e mezzo (“La chinita”, “Promiscuity”), baccanali da due minuti (l’up-tempo frenetico de “La marea”), divertissment da tre minuti (il two-step di “Papito”, l’agrodolce “La vacaloca”) e qualche pezzo più seriamente impostato (l’amara “Merry blues”, l’estremismo politico filo-algerino di “Denia”, cantata quasi interamente in arabo con l’ospite Idir). Resta il dubbio di essere stato buggerato, ma ''il naufragar m’è dolce''... (Manuel Maverna)