FRANCO BATTIATO  "Joe Patti's Experience"
   (2014 )

“Più si invecchia più affiorano ricordi lontanissimi”, cantava Battiato una vita fa. Potrebbe essere il racconto di questo suo nuovo disco, dove nell’ennesima rivoluzione della sua carriera il Nostro riprende in mano certe sonorità tipiche dei suoi anni ’70, fatti soprattutto di elettronica e testi anomali, per sorprendere una platea che, durante i concerti, forse si è chiesta se non ci fosse stato un qualche errore di stampa. “Joe Patti’s Experience” è un qualcosa che forse potrebbe far pensare agli antichi “Sulle corde di Aries” o “Clic”, ma dopo un impatto emozionante con “Leoncavallo” si scade, forse, in una melassa di suoni elettronici che valgono come un genere progressive ripulito da quelle polveri che, però, all’epoca ne erano la principale attenzione. Andando, quindi, a cozzare più nel girone dei “Campi magnetici”, album non particolarmente esaltante ed esaltato di fine anni ’90. Si rimescolano spezzoni di testi presi qua e là dall’infinita produzione del Maestro (il finale di “New frontiers” nella già citata “Leoncavallo”, altri estratti da “Shakleton” e da ghost track) oltre a qualche ricordo di quando Battiato cantava spesso al contrario. Ci sono, chiaro, emozioni e suggestioni che saltano fuori dai solchi – si può ancora dire così – perché la mano è quella e non si discute, ma alla fine resta più che altro una gran voglia di andarsi a riprendere i lavori dei ‘70s. E non è questione di non sapere inquadrare storicamente un genere che 40 anni dopo rischia di non trovare casa, o di essere troppo commerciali e quindi affezionati solo alle bandiere bianche o alle palome. Il problema è riavvicinarsi a temi che erano già stati sviscerati in modo perfetto all’epoca delle foto ingiallite di Battiato vestito da freak, e che peraltro nascondevano discrete emozioni anche negli scarni testi, originali. Cosa che qui, come detto, latita. Si termina con “Proprietà proibita”, riaggiornamento di quello strumentale del 1974 diventato per anni sigla di Tg2 Dossier, che è la chiusura di un disco che, lungi dall’essere stroncato (lo scrivente non stroncherebbe Battiato nemmeno se si mettesse a fare una gara di gargarismi con un qualche discendente di Platone), pare più un divertissement che altro. E’ anche vero che Battiato, nella sua carriera, di divertissement ne ha fatti e nemmeno pochi. Per cui prendere o lasciare: meglio prendere, perché alternativa non c’è. E comunque, se dopo l’ascolto vi andasse di riprendere davvero in mano “Sulle corde di Aries”, allora va bene lo stesso. (Enrico Faggiano)