GIUSEPPE RIGHINI  "Houdini"
   (2015 )

L’eclettico 41enne riminese Giuseppe Righini, attitudine – per sua stessa definizione - curiosa ed onnivora votata ad una spiccata vocazione sperimentale perfezionata in oltre un decennio di intensa attività artistica, si muove in una vasta area che spazia dalla letteratura alla musica, dal cinema al teatro, talento multidisciplinare espresso in un variopinto ma addomesticato sincretismo. “Houdini” – molte luci e qualche ombra - è il terzo album solista di Giuseppe, lavoro sospeso tra la personale interpretazione di una music for the masses appena stemperata da suggestioni glamour e la malcelata tentazione di scendere a patti con quella stessa fruibilità dalla quale intenderebbe, forse, discostarsi in virtù di un approccio venato di qualche (contenuta) bizzarria. Su un impianto di elettronica disimpegnata dalla forte eco 80’s, ora tendente al synth-pop (l’aria decadente à la Marc Almond di “Tic toc bar“) ora prossimo ad accenni retro-wave (“Magdalene”, fra I Cani e gli Indochine), “Houdini” è un album che indovina sì una rutilante sequenza di pezzi-killer, ma che inciampa talvolta in una timidezza espressiva poco funzionale al risultato: il canto stentoreo di Giuseppe è fin troppo impostato e strutturato, e gli arrangiamenti mancano forse di quel coraggio spinto che talora scava il solco tra rassicurante confidenza ed allettante stravaganza, ma è innegabile che i non pochi numeri d’alta scuola disseminati fra le dieci tracce dell’album costituiscano un non trascurabile lasciapassare per la gloria effimera della new generation. Dalla perfezione formale della già citata “Magdalene”, avvolta su una incalzante cadenza vintage che sfocia in un chorus magistrale, alle affinità Afterhours del blues truccato di “Amsterdam”, dall’esitazione incupita di “Licantropia” all’autoreferenziale “Bye bye baba” (99,9% Subsonica), Giuseppe scrive bene, ma fatica ad incanalare lucenti intuizioni in una musica che appare a tratti troppo flebile per supportare sia l’estrosità dei testi, sia la garbata ricercatezza dell’insieme. Pur con alcune vette rimarchevoli, “Houdini” è un album forse incerto sulla direzione da seguire, indeciso su come indirizzare l’intimo dissidio che lo caratterizza: se essere spendibile e popolare, o se relegarsi ad una marginalità dignitosa, sebbene non elitaria. A prevalere sembrerebbe proprio quest’ultima condizione, una trappola autoindotta che al momento mantiene Giuseppe Righini nel novero, invero ristretto, degli autori in cerca di personaggio. (Manuel Maverna)