MERZBOW  "Cuts of guilt, cuts deeper"
   (2015 )

Quella ordita dal nipponico artista noise Masami Akita, in arte Merzbow, in ottantuno minuti di pura sperimentazione free-form, rumorismo brado dettato dall’astratta concezione di una non-musica da (an)negare nel fosco nulla, esercizio di tecnica manipolatoria che diviene – per assurdo – stilema distintivo, è una trama complessa, dichiaratamente e scopertamente concettuale, un dolente percorso lastricato di ininterrotte asperità in forma di suoni disturbanti e corrosivi, suggestivi di apocalittica alienazione ed irrequieta, spasmodica tetraggine. All’insegna di un fragore implosivo che collassa su sé stesso, Merzbow tesse la propria tela strutturando l’album in quattro lunghi, estenuanti movimenti – ciascuno attorno ai venti minuti di durata – che oscillano tra impro-jazz ed avanguardia tout court, un magma elettr(on)ico capace di affogare sul nascere ogni sporadico, episodico accenno di sparuta armonia: col supporto degli accoliti di ventura Mats Gustafsson (sax), Thurston Moore (chitarra e mente dei Sonic Youth) e Balázs Pándi (batteria), nomi di spicco nell’ambito della sperimentazione più estrema, Masami erige una cattedrale sbilenca di elettricità nevrotica puntellata da un cupo sabba percussivo e da una esplicita vocazione all’atonalità ed alla decostruzione. Negazione più che proposta, “Cuts of guilt, cuts deeper” si pone come futuristico soundtrack di ordinaria disumanizzazione, richiamo al caos, oscura profezia di catastrofe imminente, opera eminentemente cerebrale che trova ragion d’essere in questa sua esclusiva dimensione intellettuale; antitesi stessa della piacevolezza come pure di un impegnato intrattenimento, è un’idea più che un disco, lavoro da ascoltare una sola volta e da riporre sullo scaffale in attesa del momento propizio per dargli nuovamente voce, verosimilmente nel giorno dell’Armageddon. (Manuel Maverna)