LA SCAPIGLIATURA  "La Scapigliatura"
   (2015 )

Forse imbrigliati in una ragnatela di malcelata autoesaltazione di peculiarità che sono comunque - da un punto di vista strettamente letterario – innegabilmente invidiabili, i fratelli cremonesi Niccolò e Jacopo Bodini, look con doppia barba e spettinato-chic, propongono la loro ricetta per innervare di nuova linfa un cantautorato italico tanto variegato nelle velleità quanto asfittico per ispirazione e pregnanza contenutistica. Molti i tentativi, mediocri gli esiti, specie in quella terra di nessuno che è il pop, incapace di trovare adeguata mediazione fra certe asperità inadatte alla nostra patria sensibilità e la prevedibile deriva nazionalpopolare che inonda di pacchiana melassa capienti venue grazie all’intramontabile binomio cuore-amore: ma nel regno dei ciechi l’orbo è re, ed anche i fratelli Bodini, autori di un debutto comunque valido, rappresentano una piccola oasi nell’aridità di un panorama così desolante da valorizzare ogni singolo miraggio ergendolo a prodigio. Sulle ali di una cerebralità di fondo espressa in garbate composizioni dalla tenue filigrana, largamente incentrate sui risvolti psicologici dei rapporti tra giovani uomini e giovani donne, con sfrontata scioltezza il duo vivacchia in bilico fra un intellettualismo mai spinto e sparse finezze stilistiche che rimandano ad una versione alleggerita dei Baustelle o ad un upgrade dei migliori Tiromancino, quadro armonioso incline a quello spleen vagamente blasé, un po’ hipster e un po’ no, ma surtout radical-chic senza radical (erre moscia inclusa) così adatto ai tempi, calzante come un guanto ad un uditorio di ex-giovani irrisoluti ancora alle prese con tardivi turbamenti amorosi ed indecisioni assortite. Disco confortevole e rassicurante, ossimorico nel suo stiloso low-profile, non scopre certo Atlantide e nemmeno l’acqua calda, ma è lavoro a tratti irresistibile per come gigioneggia nel manipolare contagiosi chorus dagli inattesi sviluppi (ad esempio nell’opener “Appassimento”, delicato arpeggio campestre tra la “Misread” targata Kings of Convenience e il Benjamin Biolay del periodo “Home”) flirtando impenitente con tematiche intrise di sesso gentile/gentil sesso. Peccato solamente che dopo la fiera citazionista de “L’ultimo metrò”, l’inoffensiva ma gradevole ballad – fra Cremonini e Brunori Sas – di “Margherita”, la sbilenca, non disprezzabile cover reggae della gucciniana “L’antisociale” ed il brillante elettropop di “Dance with you” (pefetta per un Giuseppe Righini), l’album si sieda sugli allori e cessi repentino di dispensare la propria suadente malizia, mutandosi in timido ed attendista, quasi optasse – ormai a corto di fiato - per portare a casa il pareggio con una provvidenziale melina finale. Da qui in avanti si spengono come cerini l’inessenziale porno-music di “Morbida”, l’anemica melodia à la Perturbazione di “Neve a settembre”, la melensa aria sanremese (sic!) di “Tenera è la notte” e soprattutto la chiusa interminabile di “Dall’altra parte di noi”, che offre molti dubbi e ben poche soluzioni all’enigma de La Scapigliatura: su una tenue armonia che non suggerisce tristezza nè sconforto, rabbia o malinconia, tensione nè smarrimento, una esangue cadenza monocorde resta nuda svelando ciò che è, una canzone qualsiasi, la cui durata eccessiva non giunge mai ad accrescerne l’impatto emozionale nè ad acuirne l’intensità. Ben poco robusto sulla lunga distanza, ma con grossi margini di crescita, questo promettente varo è un più che discreto esordio in fieri, futuribile ed aperto, prodotto forse leggermente sopravvalutato, ma ricco di spunti – specie lessicali - e di una non comune classe sottilmente palpabile. In tempo di carestia, non è poco. (Manuel Maverna)