ARCTIC MONKEYS  "Whatever people say I am, that’s what I’m not"
   (2006 )

Li hanno paragonati agli Who e ai Sex Pistols per la forza esplosiva delle loro performance e per l’incendiabilità furiosa della loro musica, eppure questi ragazzi di Sheffield non paiono aver nulla di visibilmente selvaggio. L’attitudine quella però sì, non manca. Adepti del vecchio motto del “Do It Yourself” (in Italia sarebbe: “Chi fa da sé fa per tre”), hanno convinto i soliti discografici miopi dopo aver scioccato dal vivo. E dire che gli inglesi sono avvezzi alle colate di lava rock che scaturiscono dal ventre della loro terra apparentemente fredda e grigia. Gli Arctic Monkeys sono lapilli e scintille, un po’ come lo erano i Libertines all’inizio, però senza tutti i loro problemi di tossicodipendenza. È rock n’roll primordiale e anfetaminico (come in “You Probably Couldn’t See...”), sostenuto da una qualità chitarristica davvero eccellente, innaffiato da tassi alcolici infiammanti che soltanto a tratti si stemperano nei postumi di ballate roche e impastate (“Riot Van”). Ci sono richiami ai Seventies nudi e crudi (come nella splendida “Fake Tales Of San Francisco”) e continui riferimenti alla pista da ballo (“I Bet You Look Good On The Dancefloor"). Il marchio albionico garantisce fresche riverniciate di pop e incursioni melodiche (“Mardy Bum”), segno che la band non ha disdegnato la storia britannica a partire dai Beatles, per arrivare a Smiths e Oasis. Ma ad essere sinceri non sono le canzoni più distese a colpire. Ciò che suona come un calcio nello stomaco è la forza primitiva implementata ad un rock che ogni volta si dice morto e che, miracolosamente, ogni volta riesce a rinascere. (Barbara Volpi)