VIDRA  "La fine delle comunicazioni"
   (2016 )

Sia la grandezza che la specificità dell’esordio sulla lunga distanza per Rupa Rupa Records dei Vidra - quartetto di origini salernitane attivo dal 2006, dotato di insolita strumentazione e di molte variegate idee - risiedono nella sua immaginifica ricchezza, una visionarietà naif capace di ricostruire a tinte pastello un piccolo mondo antico di vivido nitore. Se il suono di elezione prescelto per orchestrare l’operazione è esplicitamente – e non senza guascona sfrontatezza – mutuato da quel raffinato synth-pop anni ’80 fra i Novecento e la Giuni Russo più accessibile, ciò che demarca il confine fra il pedissequo revivalismo di maniera e l’arte elegante della band è proprio l’idea di un eden in cui musiche e testi – storie e sentimenti d’altri tempi, seppure modernizzati – agiscano in simbiosi esaltandosi vicendevolmente. Il taglio cinematografico che avvolge i brani riveste ogni traccia di un fascino ancestrale veicolato da una musicalità sciolta, evocativa ed immediata, un flusso ininterrotto di poesia minimalista che conduce in un qualche altrove, in volo tra memoria collettiva e sogno stralunato. Guidato dalla vocalità suadente e adamantina di Antonella Gigantino, “La fine delle comunicazioni”, album a tema incentrato sullo spazio, è un compendio di retrofuturismo che dipana melodie squillanti impastando sci-fi e nostalgia. Echi insistiti di Matia Bazar fanno capolino nel trittico ubriacante che lega in un ideale medley la splendida title-track, le divagazioni elettroniche di “Titanio” e l’armonia sensuale di “Cosa nasconde il cielo”, mentre la viola di Michela Coppola ricama la sfuggente aria di “Nelle pause” e tracce di Garbo nobilitano sia “Emme da Berlino” che una palpitante “Pauline”. Brillante anche la scelta delle due cover che completano il diadema: una riproposizione piuttosto fedele di “Rossetto e cioccolato” di Ornella Vanoni, ma soprattutto una versione memorabile della già pregevole “Trimotore idrovolante” di Amedeo Minghi, qui esaltata sia da una maggiore linearità armonica rispetto all’originale (imperniata su un controtempo insistito e su dissonanze quasi prog) sia dalla soppressione di alcune parti del testo, levigato da un cut-up che ne alleggerisce il messaggio elevando il brano a nuova arte. Disco ambizioso nella sua categorica presa di posizione stilistica, “La fine delle comunicazioni” è espressione di una band caparbia e talentuosa, capace di riversare quel pizzico di elitaria allure che la contraddistingue in una musica al contempo colta e popolare. (Manuel Maverna)