THE CASTILLOS  "Pilot"
   (2016 )

The Castillos è un quintetto pop-rock nato nel 2014 che fonde il contorno grezzo degli Arctic Monkeys alle sfumature conturbanti di Cure e Jesus and Mary Chain; un progetto estremamente ambizioso e ricercato, che cura nei minimi dettagli ogni singola impressione sonora e melodica.

“Pilot” è l’opera con cui i Castillos esordiscono: si tratta di un breve EP autoprodotto colmo di influenze imponenti e non privo di alcune trovate riuscite e originali. Il gruppo si contraddistingue per un sound sporco, grigiastro, che non si accontenta dell’effetto “in presa diretta” di cui usufruiscono molte altre band (i primi Babyshambles e tutti gli esperimenti di Alex Turner esclusi quelli più recenti), ma che è finemente studiato e migliorato – se non addirittura rinvigorito nella sua crudezza – dalla produzione (non maniacale ma sufficientemente matura) del gruppo stesso. “Business Calls” ci catapulta immediatamente in un emisfero sotterraneo di polvere e feedback, che potrebbe essere lo studio di registrazione dove la band ha partorito ed edificato queste quattro tracce, sovrastato da un cantato caldo e convinto. Il secondo brano dell’EP, “Jungle 162”, sembra raccimolare le briciole di certe derive di “Favourite Worst Nightmare” degli AM unendole a una voce che segue fedelmente i dettami di Robert Smith e di alcune band new wave inglesi degli ‘80s. Il ritornello aumenta di giri e di velocità e scalda l’atmosfera, rendendo il pezzo una potenziale hit ballabile in qualsiasi pista rock di discoteca.

Ma c’è tanto soprattutto dell’indie anglosassone degli ultimi quindici anni. Il pop glassato di “Blossoms” è una ballata da Libertines centrifugati con i Blur di “Modern Life Is Rubbish” per la sua innata e splendida onestà melodica, che può accompagnare un bellissimo sogno in cui si ritorna bambini. A completare l’opera c’è un’altra cavalcata pop dove si sente qualcosa dei Gang of Four e dei Franz Ferdinand; ma qui sono soprattutto i fratelli Gallagher a tornare alla mente, quando, nel finale, due voci si intersecano tra loro, l’una che fa eco all’altra, come accade in tanti brani degli “Oasis belli”, cioè quelli di metà anni Novanta, quelli dei primi due stratosferici album.

Per uscire da questo circolo di influenze, citazioni e ammirazioni, si può dire che i Castillos non si sforzano di essere originalissimi – a tal proposito si noti la scelta di cantare in inglese – per una loro idea ben precisa e fortemente condivisibile; i cinque eseguono splendidamente ciò che hanno deciso di fare: riproporre, con storie e gusti personali, quel “British Sound” cristallino ed energico, che in Italia in tanti santificano ma in pochissimi sanno riproporre. (Samuele Conficoni)