DANCE WITH THE BEAR  "Disco di platino"
   (2016 )

Contiene spunti allettanti “Disco di platino”, secondo album del quartetto ferrarese Dance With The Bear, già segnalatosi in occasione dell’interessante debutto “I Love You, Bears” (2013) ed oggi convertito alla lingua madre. Condivisibile la scelta dell’italiano, da leggersi forse come il tentativo di esporre ad un uditorio più vicino alla loro dimensione l’accresciuta personalità che traspare dalle nove tracce di questo lavoro chiassoso ed incalzante, ben sorretto da una produzione virata su sonorità sature ed invadenti, connubio di elettronica e rock che mira ad una riconoscibilità in divenire. In tanta opulenza di facciata, il rischio tangibile può essere quello di ridurre il consistente materiale disponibile a mero groove, affidandosi sì ad un riempimento stordente del suono (“Organizzare un rave”), ma fermandosi alla superficie delle possibilità ancora esplorabili dalla formula. Ciononostante, l’operazione inizialmente intriga, oscillando fra il Management Del Dolore Post-Operatorio di “Auff!” e qualche deriva Zen Circus (“Non cadere sulle spine”), trovando il bersaglio grosso in apertura (“Superficiale”) ed azzardando qualche escursione in territori meno battuti (interessante l’inciso funky di “Manicomio commerciale”): sono i momenti migliori, prima che il predominio di un chitarrismo tanto avvolgente quanto uniformante torni padrone della scena, nel bene e nel male. Sebbene inclini a palesare gli stessi limiti che hanno in parte mitigato il primigenio sorprendente impatto – mai gli ardori - della band di Luca Romagnoli, i Dance With The Bear potrebbero in futuro sperimentare qualcosa di davvero importante, a patto di sviluppare anche in altre direzioni quella che appare finora l’insistita replica di un suono sì intenso ed ubriacante, ma propenso alla ripetitività. Occorrerà spostarsi, in qualche modo, ma le premesse non mancano. (Manuel Maverna)