MCFdM (MATTIA CAROLI E I FIORI DEL MALE)  "Fall from grace "
   (2017 )

Una ventata di freschezza arriva alle nostre orecchie con Mattia Caroli e i Fiori del Male. Questa band reatina è un settetto, composto dalla line up rock di batteria, basso, tastiere e chitarra, più fiati: sassofoni, tromba e fagotto. Il sassofonista suona anche il clarinetto, il trombettista la lap steel guitar e, poliedricità a parte, la ricchezza di timbri diversi è l'elemento caratterizzante del loro album d'esordio "Fall from grace": dal banjo di "Blues Man" si arriva alla cornamusa di "In the summer". Emerge anche una fantasia stilistica e diversi salti di genere che ricordano per certi versi la libertà dei Mr. Bungle, senza la componente dissonante e il delirio circense di questi ultimi. Ma l'influenza più evidente, e anche dichiarata alla fine di un loro videoclip, è una: Syd Barrett, e quei Pink Floyd degli inizi, completamente guidati dalla personalità di Syd. L'eredità psichedelica a tratti è molto invadente ma non infastidisce mai, poiché la presenza dei fiati aggiunge un ambiente sonoro estraneo allo storico gruppo inglese, creando così un sound originale e spesso sorprendente. Ad esempio in "Ain't she the queen?", un twist incalzante viene interrotto da un ponte reggae - dove il bassista fa sentire la sua bravura nell'intessere una rete di note equilibrate - mentre in "The song of the highest tower" l'introduzione produce un'aspettativa di allegria british che sarà poi ingannata dalla strofa inizialmente calma. Senz'altro i Fiori del Male conoscono i They Might Be Giants e i loro scherzi. Un'altra tendenza floydiana in loro è quella di ricercare forse il concept album, almeno dal punto di vista delle pause. Gli interludi strumentali iniziano quasi subito al termine dei brani precedenti, quasi senza lasciare un silenzio, come per collegare i pezzi in un unico flusso sonoro. Proprio in questi brevi momenti senza voce la musica raggiunge il suo picco di magia, come negli appena 57 secondi di "Running around", dove si gioca sull'armonia di un solo accordo, andando a scomodare la quarta eccedente per creare una sospensione a cui invece poi segue un passaggio da maggiore a minore. Tutti i brani più o meno contengono delle piccole progressioni armoniche non banali. Nella descrizione ricevuta in redazione i Mcfdm vengono descritti con coordinate stilistiche a cavallo tra rock, indie, blues e jazz. Forse si potrebbe riassumere tutto in una definizione che spaventa molti: progressive. Non nell'intenzione di certi progger di maniera che creano lunghe situazioni sia tematiche che improvvisate spesso fini a sé stesse, bensì nella libera ricerca stilistica che poi era la principale prerogativa anarcoide all'origine di questo mondo. Il brano "She seemed to be crying" al terzo minuto dà spazio a un assolo di chitarra che per certi versi ricorda lo stile di Steve Hackett nei Genesis, mentre "Leave me alone" conferma la direzione prog nella sua accezione più giocosa, con i suoi cambi ritmici e di atmosfera. Ma il tutto non suona per niente faticoso né nostalgico, anzi, come detto all'inizio, quest'esordio è una ventata di freschezza. E l'ascolto risulta così accessibile anche alle orecchie meno abituate a questo tipo di sorprese sonore. (Gilberto Ongaro)