BONA HEAD  "Keys for healing "
   (2017 )

Il terzo album solista del prolifico Roberto Bonazzoli in arte Bona Head – ex cantante e tastierista degli SHW con tre dischi pubblicati tra il 2004 e il 2008 – è un concentrato di synth pop permeato di rock, new wave, e persino soffusi richiami allo shoegaze; ma è l’elettronica il genere che predomina, e splende grazie agli arrangiamenti particolarmente riusciti. “Keys for Healing” si presenta come un concept album che percorre le tappe della maturazione interiore, di rigenerazione e guarigione dell’uomo attraverso la conoscenza e lo sviluppo dei propri sette chakras principali. Bonazzoli suona ogni centimetro di questo album, a partire dalla voce, passando per chitarre, tastiere e sintetizzatori.

L’album parte con una delicatissima canzone pop che sembra uscita dagli immensi Slowdive di “Pygmalion”: la voce, quasi sussurrata e soffocata tra i sintetizzatori, assume i contorni di una ninnanna dolcissima, e l’esplosione melodica del refrain allarga il campo virtuale del brano, che raggiunge sfumature eteree. Più vicina agli xx è invece “Everything Is a Part”, dai toni rarefatti, dove una voce che sembra venire dall’aldilà troneggia imperiosa, tremolante e carica di sentimento. Maggiormente legata al rock elettronico è “Cosmic Void” – primo singolo del disco – che risulta limpida specialmente negli strumentali, ma è resa indimenticabile dalla doppia voce che caratterizza la canzone dall’inizio alla fine: in una sorta di inseguimento, la linea vocale bassa e quella alta si fondono, si rincorrono, si combattono, finché vengono quasi superate dai synth. La prima parte del disco regala un altro momento squisitamente pop, la potenziale hit “Climax”: la voce strozzata sembra piangere, in una “climax” – no, il titolo non è affatto causale – sempre più emozionale e appassionante. Alla fine, quando tutto sembra cedere e le speranze paiono farsi a pezzi, in qualche modo il narratore recupera orgoglio e forza e ricuce lentamente la propria esistenza. Il brano non passa certo inosservato; gli assoli e gli strumentali lo rendono ancora più prezioso. Il secondo singolo, “Yearning”, vede di nuovo elementi mutuati da Slowdive e, qui, anche dai Galaxie 500, soprattutto per l’approccio vocale misurato e distaccato, non perché voglia rinunciare all’emozione, ma perché pare volerci raccontare la storia in modo critico e per nulla rigido. Il falsetto del ritornello rende la canzone una delle più cantabili dell’intera opera.

Gli arrangiamenti sono uno dei punti forti del disco: sanno essere spregiudicati, semplici, variegati, pregiati. Questo è un album che SUONA bene. Lo si ascolta volentieri, ci si ritrova a canticchiare alcuni pezzi, l’atmosfera è carica. Caldissime sono “The Coward’s Relief” e “Swimming in the Sea of Apathy”, per i motivi opposti: la prima è calda perché avvolgente, attraente, pressante; l’altra, uno strumentale di piano e archi elettronici, è calda per la sua semplicità e bellezza, spoglia, un’àncora di salvezza in un oceano di indecisioni. Con “Peddling Delicacy” la new wave entra prepotentemente come genere di riferimento per Bonazzoli: lo si nota nell’arrangiamento, nel trattamento delle batterie, negli echi della voce, nella sua tensione sempre in bilico tra tremolio mormorato e grido liberatorio. L’apertura melodica del refrain è sensazionale.

Gli ultimi tre brani non aggiungono nulla di più all’opera, ma sono degni sunti della straordinaria abilità di Bona Head: la dolcezza rilassante di “Somehow”, che nel ritornello si trasforma in una ricerca di aiuto dissonante e travolgente, è seguita da un’altra gemma synth pop, “Non-U”, dove sono evidenti elementi new wave e shoegaze, e si sente soprattutto l’influenza dei Lush. La chiusura perfetta spetta a “Poetics of the Epilogue”, ottimo riassunto su cosa sia – e a che punto sia – la musica elettronica di Bona Head. Le esplosioni sonore in sottofondo fanno da accompagnamento a una voce rilassata, ancora una volta distaccata, sempre molto controllata. Momenti di silenzio si intervallano a veri e propri picchi sonori. Nessun brano più di questo era adatto a concludere il disco.

Ancora una volta Bona Head ci regala un disco di altissima fattura, che ci dimostra quante (e di quanta alta qualità) siano le sue influenze e le sue abilità nel gestire più generi fondendoli tra loro: mai confusionario o banale, Bonazzoli riesce a tenerli insieme grazie a un lavoro durissimo sull’apparato elettronico. Un altro centro nella sua carriera, senza dubbio. (Samuele Conficoni)