LED BIB  "Umbrella weather"
   (2017 )

L'ottavo album per i Led Bib, jazz band britannica, conferma il loro percorso di costante sperimentazione e di contaminazioni sonore. Il virtuoso quintetto, in quattordici anni d'esperienza ha raccolto quanto più possibile da diversi stili, e la costante attività dal vivo gli ha permesso di avere un interplay, un affiatamento tale da essere in grado di creare brani strutturati dall'improvvisazione simultanea. Nei brani di "Umbrella Weather" si può ascoltare questa capacità in molti episodi. "Lobster terror" inizia con delle frustate di chaos pad (probabilmente) e la prima armonia musicale che si presenta è un tritono, detto anche diabolus in musica. Tanto per mettere in chiaro da subito che non si starà tranquilli. L'assolo indiavolato di sax è nella prima parte accompagnato dalla batteria con velocissimi colpi sulla campana del ride. Il contrabbasso, sempre col pedale fuzz acceso, non lascia scampo alle orecchie. The Wire ha definito il loro sound come una motosega scaldata che attraversa il burro; il burro forse arriva poco prima della fine, con un piano elettrico che porta qualche segnale di pace con accordi ai quali tutti gli altri si adeguano, almeno fino a pochi secondi prima della chiusura. Il secondo delirio "Ceasefire", "cessate il fuoco", sembra riferito alla guerra sonora appena ascoltata, e presenta un pad ondulato che fa da sfondo a note malinconiche del sassofono, strumento sempre protagonista (anche perché ci sono due sassofonisti). La batteria aumenta la sensazione di catarsi improvvisando aggressivamente, ma da metà brano parte con un ritmo regolarissimo che viene accompagnato da un pedale di basso sul quale l'assolo continua ma ovviamente ora è cambiato di senso. Uno scherzo simile è in "Skeleton key to the city", dove cupe note di fiati vengono contraddette da uno sviluppo più leggero, che poi si appesantisce di nuovo. La voglia di sorprendere è l'elemento cardine, e così nel lungo "On the roundabout" il tema esatonale porta a un ritmo latino di batteria, non appoggiato dal basso distorto che invece trasporta gli altri ad una psichedelia allucinogena che inizia molto soft, ricordando la follia di ''Moonchild'' dei King Crimson, per poi riacquistare gradualmente corpo mentre il basso reitera un giro di semitono (volgarmente, "arabeggiante"). Verso la fine di questo trip, non contenti di sufficienti shock, i cinque energumeni accelerano repentinamente. L'approccio psichedelico tornerà in brani successivi, come nel jazz rock "Women's power" e in "Marching orders", dove la stanza lisergica collega un incipit progressive ad uno shuffle rock simile a quello di ''One of these days'' dei Pink Floyd. "Fields of forgetfulness" è più tradizionale, mentre "Too many cooks" è uno straniante giro atonale costellato di dissonanze à la Naked City, che finisce senza preavviso come fosse andata via la corrente. L'influenza di John Zorn si sente anche in "At the shopping centre", dove un altro jazz rock aggressivo ed ansiogeno viene però concluso dai fiati con note riconcilianti. In "Insect invasion" i sassofoni vengono lasciati a dialogare da soli per un po', poi gli altri si aggiungono alla chiacchierata, fino a sfociare in una lite. Un'altra umanizzazione del sassofono è in "The boot", dove lo strumento glissa pesantemente come fosse stanco. Parlare di jazz moderno è come parlare di arte astratta, ogni ascoltatore potrà trarre le sue impressioni e le sue conclusioni, che non necessariamente convergeranno con queste. L'unica certezza è che siamo di fronte a musicisti navigati che non deluderanno le aspettative dei cultori. (Gilberto Ongaro)