ANGELO SAVA  "Miasmi"
   (2017 )

Mica facile sorprendersi ancora a quarantacinque anni suonati, specie ascoltando un disco. Credi di avere strasentito tutto, cosa mi può più interessare? – pensi. Poi accade che il quattro tracce di un ragazzo di Pesaro uccida il torpore, come capita sempre più di rado. Era solo qualche mese fa, l’ep era “Addio Pimpa”: già il titolo valeva comunque un tentativo. Dentro quei quattro pezzi che stenti a chiamare canzoni c’erano cocci di vetro e un retrogusto malsano, un’aria pesante e molti vuoti da lasciare tali. Il coitus interruptus riprende da “Miasmi”, altre sei sassate simili a detonazioni, ventitré minuti che implodono di continuo su sé stessi in un marasma di elettricità satura e stordente, quasi psichedelica nel suo insistito inghiottire tutto. E’ un vecchio trucco, mr. Tambourine Man ci pensò mezzo secolo fa a collegare il jack ai cantautori ed il gioco, a dieci lustri da Newport, funziona ancora bene. Mutatis mutandis, parlando di “Addio Pimpa” tiravo in ballo Vasco Brondi, se non altro per l’idea (ma non era di Giorgio Canali?) di un cantautorato spogliato dell’intimità acustica in nome di una colata lavica che ogni romanticismo sommerge. Angelo Sava, che suona corda amplificata, lo fa in modo differente, ed anche questo l’avevo già sottolineato. Ma c’è di più. E’ l’approccio ad essere unico e irripetibile, è nella genesi stessa di queste sei straziate litanie che risiede tutta la specificità di Angelo, il quale non si limita a premere il pedale del distorsore mentre suona il giro di do: i pezzi nascono deviati, non lo diventano per un po’ di rumore in più. “Miasmi” è frastuono primigenio, malato e incupito, una voce distante a predicare di niente nel niente (“Busio”, quasi i Verdena periodo Samurai), senza neppure rivestirsi dell’intento artistoide che fu dei My Bloody Valentine, influenza peraltro evidente in non pochi momenti della raccolta, dal finale di “Merlo” alla costernazione della title-track, men che meno latrando di cervellotiche nevrosi o disagio costruito ad hoc. “Miasmi” è claustrofobia introversa che rinuncia a deflagrare nonostante la nebulosa di fragore chitarristico che la ammanta e la ingoia, è una tabula rasa elettrificata che annichilisce e disorienta. Ogni traccia è un buco nero che mi ruba il tempo, mi ruba l’energia: non esalta né confonde, tantomeno illude o ravviva, ti risucchia con sé e dopo averti masticato ti lascia più stanco ed afflitto, con l’impressione che le cose vadano meno bene di prima. Forse paragonabile per intensità solo alla mesta desolazione dei Fine Before You Came, “Miasmi” è un dilaniante solipsismo costruito attorno alla modulazione del rumore ed alla frammentazione dell’anima: i detriti post-emo di “Carestia”, che collassa nel nulla fagocitata dall’ennesima implosione, feriscono e sfiniscono, prosciugano e sfiancano. Impossibile partire da qui per mondarsi o elevarsi, per allietare lo spirito o liberarsi da un giogo: è un inno del perdersi, la negazione del bello, il contrario di qualcosa. Puro genio, anche se a saperlo fossimo soltanto Angelo Sava ed io. (Manuel Maverna)