GIUSEPPE QUARANTA  "Le regole della felicità"
   (2017 )

A dispetto del titolo, “Le regole della felicità” è un disco che ha la malinconia e la solitudine come filo conduttore delle nove tracce in esso contenute. Sono queste le due parole più usate nei testi di Giuseppe Quaranta, giovane cantautore pugliese che da tempo vive a Bologna e che guarda con ammirazione ai cantautori che hanno fatto la storia della musica italiana (Baglioni, Paoli, Califano e via dicendo). Sforna il suo primo lavoro, strizzando loro l’occhio con nove racconti pieni di pathos sia a livello musicale sia testuale. L’opening track, “La mia maschera”, è molto cupa e densa di un intimo dolore, sommesso, non urlato, in cui il silenzio logorante dopo una storia finita costringe il protagonista ad indossare una maschera, fingendo che tutto vada bene per andare avanti. La canzone che dà il titolo all’album, musicalmente più allegra, è il racconto del tempo quale nemico della felicità: questa è come una donna, che si concede una volta e dopo si lascia inseguire e desiderare ma sfugge, per cedere il passo alla malinconia e all’amarezza. “Un Attimo”, ben cadenzata con piano, tastiere e voce, segue un filone drammatico accostabile al pathos baglioniano, seppur distante dalla vocalità del più noto cantautore romano, mentre “Cioccolato e fragole” ha sonorità più sbarazzine e leggere. “Il tempo” è una ballata che riassume i contenuti dei brani precedenti e anticipa le tracce successive, in una sorta di biografia del cantautore. “Luna contadina” è forse il pezzo più debole dell’intero lavoro, ridondante musicalmente, mentre “Il prossimo weekend” è un allegra ballata che racconta un fine settimana da vivere con la donna amata ma è una storia destinata a finire in “Libera” quando lei va via. “Cara amica, mia compagna” chiude in maniera malinconica ma speranzosa un lavoro che si era aperto in modo cupo. Nel complesso siamo in presenza di un album ben suonato anche se musicalmente molto lineare, con rarissimi guizzi progressive anni ’70 nell’uso delle tastiere, mentre la voce, chiara e pulita, si adatta bene ai contenuti dell’intero lavoro, assimilabile ad un concept il cui tema centrale è il rincorrere affannato di una felicità inarrivabile, e ci si deve consolare con l’unica compagna della quotidianità, la malinconia, paziente, sorridente e che sembra dire in maniera suadente “inutile che cerchi la felicità… Ci sono io con te e non ti lascerò mai solo”. (Angelo Torre)