DENIS GUERINI  "Dissolvenze"
   (2017 )

Ci credi ai fantasmi? E’ sicuramente una domanda che c’è stata formulata più volte: personalmente no, ma ora rispondo con riserva, almeno per quanto concerne il contesto evocativo che ci propone Denis Guerini col suo quarto album “Dissolvenze”, un titolo che svela palesemente qual è l’offerta musicale che regnerà. Da oltre un ventennio l’artista cremasco ci sorprende, facendoci domandare come riesca a manipolare vari generi con così navigata maestria: dal folk al jazz fino al grunge! Mai pago dei rimpasti sonori sperimentati, ora con “Dissolvenze” Guerini si è spinto oltre, reinventandosi come medium narrativo, istigando il fantasma con 7 colpi sul tavolo per evocare tutto l’evocabile esperienziale di osservatore e scandagliatore introspettivo. Sono colpi d’intensa evanescenza, in cui l’essenzialità è la parola d’ordine ed i fantasmi van trattati con i guanti bianchi. Quale approccio migliore se non cominciare con la delicatezza dei semplici arpeggi di “Alba rossa”, che suscita ipnosi ma con la gradevole consapevolezza di subirla? Ovvio che tutto si svolga in clima notturno, e la saggia concettualità di “Occhi accesi” ci porta a svelare che, di notte, siamo più disponibili, siamo migliori, vediamo a colori con meno maschere, che lasciamo sul comodino per poi re-indossarle il giorno dopo. Inoltre, di notte non abbiamo né difese né pretese, e non ci importa dei problemi che il domani dà. Denis, conscio della sua variegata esperienza stlistica, non dimentica l’amore per il jazz, impostando l’andatura di “Pioggia e niente” con spazzole ritmiche ed un curioso effetto gracidato, che dona al brano un’aurea meditativa condita da lontani echi corali. Lui indaga senza sosta col massimo garbo, ma la voce si fa più cupa e lenta in “Il fantasma della disco”, dal clima western, dove il nostro sembra confidarsi come uno sceriffo stanco ma mai domo nel suo incedere rarefatto. Forza! Ancora 3 colpi ben assestati (da esperto batterista…) e la seduta spiritica sarà sciolta. Il tavolo, col cd che va, rotea sospeso in aria perché l’ascolto di “La resa” fa echeggiare il fantasma di Gaber, che si avvolge nella voce riverberata di Guerini e incalzanti chitarre acustiche. I suoni incorporei dell’opera arricchiscono il merito dell’artista nell’osare qualcosa di mai intrapreso, per seminare terreni vergini e legittimarsi come unico proprietario. Certo, coltiva pure comuni piantine di blues in “Linda”, con tanto di steel-guitar, ma nel totale delle rarefazioni conta principalmente la magia del corollario di fluttuazioni proposte. Da non trascurate lo splendido invito finale della title-track a far della nostra apparizione esistenziale qualcosa che resti, e non trasformarla in semplice e opaca… dissolvenza di passaggio. Sarebbe triste, come cadere in “trance” senza averne coscienza; ma, se ascoltato bene, quest’album ci sveglierà con un ammaliante schiocco di dita. (Max Casali)